Rooming-in

Rooming-in articoli di VocidiBimbi.it

Rooming-in

Quando è cominciato il rooming-in e chi lo ha inventato ? La prima domanda ha una risposta facilissima: il rooming-in è nato circa 100000 anni fa durante il pleistocene.

In quegli anni si partoriva nelle caverne, con poca igiene e molta scomodità; la mamma scaldava il neonato e lo nutriva per 4-5 anni col proprio latte.

Successivamente ci è stato tramandato un altro rooming-in che era programmato in una locanda, ma per problemi tecnici è poi avvenuto in una mangiatoia; come oggi anche in quell’occasione l’arrivo di visitatori (i pastori), ha impedito di mantenere nella stanza la tranquillità e la privacy necessarie dopo un parto.

Nei secoli successivi si è continuato a partorire in ogni luogo, ma la mamma e il bambino rimanevano insieme per tutto il puerperio.

E’ stato solo negli ultimi cinquant’anni che, spostando il parto in ospedale, si è cominciato a pensare che la mamma e il bambino potevano essere separati. Nella visione scientifica della nostra medicina moderna la mamma che ha partorito ha necessità assistenziali specifiche e il suo bambino deve essere accudito da personale specializzato.

Effettivamente questo modo di procedere ha permesso di ridurre enormemente l’alta mortalità della mamma e del neonato; solo all’inizio del ‘900 morivano nel mondo occidentale circa il 18% dei bambini nel primo anno di vita, oggi ne muore meno dello 0.5%.

Questo eccezionale risultato è stato possibile per l’uso degli antibiotici, per il monitoraggio della sofferenza fetale e per la possibilità di nascere per via chirurgica. Nella riduzione della mortalità materna e neonatale non ha invece contribuito la separazione del neonato dalla sua mamma.

Veniamo a questo punto alla risposta alla seconda domanda: chi ha inventato il rooming-in moderno?

Un neonatologo francese, Pierre Budin, nel 1907 scrisse un lavoro nel quale osservava che “le madri separate precocemente dai loro bambini perdevano interesse per coloro che sono state incapaci di curare e nutrire”. Durante la seconda guerra mondiale, a causa della carenza di personale, in alcuni ospedali si iniziò a tenere i neonati in camera con la mamma allo scopo di farli accudire e alimentare da lei; ci si accorse che in questo modo la mortalità per infezione calava sensibilmente.

E’ stato però solo dopo gli anni ’70 che gli studi di psicologia neonatale hanno messo in evidenza quanto fosse importante per il benessere del neonato rimanere vicino alla madre. In particolare gli studi di Bowlby e poi quelli di Winnicott e Brazelton, hanno permesso di dimostrare che il rooming-in era la strada maestra per ottenere un efficace attaccamento madre-bambino. I vantaggi riguardavano anche la capacità di allattare e di accudire il bambino; a distanza di mesi chi aveva potuto seguire un regime di degenza assieme al bambino mostrava significativi benefici nella relazione col figlio.

Lentamente si è iniziato a capire che il neonato sano non aveva bisogno di personale specializzato che lo accudisse al posto della mamma; l’azione dell’esperto doveva invece aiutare la madre a sviluppare e a far emergere innate e istintive competenze.

In futuro verrà chiesto sempre più di inventare strutture e schemi organizzativi che favoriscano il legame mamma-bambino. Per evitare di dover portare a domicilio l’ospedale occorrerà impegnarsi per portare un po’ di casa in ospedale; il rooming-in andrebbe considerato come la fase iniziale di questo ovvio e apparentemente banale tentativo.

(*) Significa “dentro la stanza” e si riferisce alla pratica ospedaliera di tenere il neonato in camera con la propria
mamma, anzichè al nido.


Dossier riservato

Dossier riservato articoli di VocidiBimbi.it

Dossier Riservato

Questo documento è riservato a coloro che diventano papà per la prima volta. La sua segretezza è indispensabile per evitare che altre frange della società ostacolino il nostro tentativo di inventarci un ruolo di padre efficace e anche divertente.  In particolare le nonne e le vecchie zie, i capoufficio, alcuni professori, molti politici e l’intera burocrazia dello Stato non devono sapere quello che noi sappiamo; il contenuto del presente dossier potrà essere noto soltanto quando tutti gli iscritti alla setta dei neopadri avranno già consolidato felicemente la loro azione nei confronti del figlio e della moglie.

Durante tutta la gravidanza nostra moglie vive fisicamente nostro figlio e il suo corpo subisce cambiamenti sostanziali, per noi invece non cambia nulla e dobbiamo inventarci emozioni e sensazioni soltanto con la mente; a volte durante il lavoro quotidiano capita che ci dimentichiamo che siamo in attesa di un bambino.

E’ molto difficile sentirsi padre se ancora non si ha niente in mano; e poi noi siamo ancora figli dei nostri genitori. Nostra moglie non è più solo nostra moglie, è già madre, la madre di nostro figlio, ma non la nostra madre; che confusione !

Durante il parto scopriamo che nostra moglie che sembrava così “delicatina” è invece forte come un leone, infatti spinge come una belva; questa volta è proprio lei ad avere le palle. Fa impressione pensare che anche noi siamo nati così; partecipare alla nascita di nostro figlio è un po’ come rivivere la nostra nascita della quale purtroppo non riusciamo a ricordare nulla.

Quando il nostro bambino nasce è brutto e sporco, non sembra contento, anzi è veramente arrabbiato, però dopo pochi minuti come per miracolo si rilassa e improvvisamente sembra davvero soddisfatto, infatti apre gli occhi e ci guarda. Nessuno di noi potrà mai dimenticare quello sguardo che penetra nella nostra vita come un fulmine per rimanerci per sempre. In quel momento ci sembra di volare (non sentiamo neanche la fatica che abbiamo fatto…), in quello sguardo ci sembra quasi di vedere noi stessi.

Per noi guardare nostro figlio appena nato e farci vedere da lui (anche se ancora non vede non importa) vuol dire averlo partorito e fatto nascere a modo nostro, utilizzando la nostra mente e la nostra anima invece del corpo. Gli studiosi hanno scoperto che anche per noi esiste un momento in cui si realizza l’attaccamento al nostro bambino e quindi desideriamo stare in sala parto non solo per aiutare nostra moglie, ma anche per sostenere nostro figlio fin dall’inizio proteggendolo e incoraggiandolo in un momento così difficile.

Dopo il parto, quando siamo a casa, nostra moglie si sente un po’ felice e un po’ triste, ha anche un po’ di panico, si sente la pancia vuota e in braccio ha una cosina che quando non dorme sta sempre con la bocca aperta; anche noi abbiamo un po’ di paura e spesso non sappiamo cosa fare, però cerchiamo di nascondere la nostra insicurezza e di essere il più possibile utili a nostra moglie, soprattutto vogliamo che non si senta sola.

Vogliamo cambiare i pannolini, fare addormentare il bambino e portarlo a spasso non per fare i “mammi” imitando nostra moglie, ma soltanto per conoscere e farci conoscere da nostro figlio adesso che non è più nella pancia. In passato i padri si preoccupavano poco di accudire il loro bambino a causa di strani stereotipi culturali e sociali; ancora oggi alcune madri sono molto legate al figlio e hanno paura a lasciarlo anche per pochi minuti.

Anche i nonni spesso sono abituati a vedere i loro piccoli nipoti accuditi soltanto dalla mamma e giudicano noi padri moderni quantomeno delle persone strane che leggono troppi libri e non sanno stare al loro posto; per loro noi dovremmo stare tutto il giorno a lavorare per mantenere la famiglia che cresce, ma come si fa a stare al lavoro sapendo che a casa c’è lui o lei che comincia a dire “papapapapa…” e che tutti i giorni impara una cosa nuova !

Nei primi mesi dopo il parto nostra moglie si scorda di essere una moglie (è troppo concentrata e sorpresa di essere una mamma) e noi ci sentiamo molto gelosi e trascurati; possibile che non capisca che le tette non servono solo per allattare ? Ma se ci immedesimiamo in lei è facile capire che è opportuno aspettare e che fra un po’ ci inventeremo insieme un nuovo modo di essere un marito e una moglie che sono diventati anche papà e mamma.

Nei primi mesi ci inseriamo con discrezione in quella che gli esperti chiamano la “diade madre-figlio” e accettiamo volentieri che sia la mamma a condurre le danze; nel secondo semestre di vita invece nostro figlio incomincia a capire che il papà e la mamma sono due persone diverse e ogni tanto preferisce giocare col papà anziché stare sempre con la mamma; come genitori cominciamo a diventare complementari e il nostro bambino inizia a scoprire modi diversi di relazionare con gli altri. Qualcuno ci accusa di fare giochi troppo eccitanti che fanno agitare il bambino, in realtà studi specifici hanno scoperto che le mamme che lavorano molto, quando tornano a casa, anche loro preferiscono fare giochi molto stimolanti, chi invece passa molto tempo col bambino (maschio o femmina che sia) interagisce con lui in modo più sottile e modulato.

In conclusione, nella vita cosa c’è di più bello che tenere in braccio un “frugolino” tutto liscio e “morbidino” che ci guarda ridendo ? Forse di più bello ancora ci sarebbe soltanto essere il “frugolino”.


E’ possibile viziare un neonato ?

Viziare un neonato articoli di VocidiBimbi.it

E’ possibile viziare un neonato ?

Per molte nonne è una domanda retorica, e la risposta é : si !

Curiosamente però, fin che il bambino è piccolo, sono le nonne a criticare le mamme troppo premurose, quando il bambino cresce invece sono le mamme a lamentarsi delle nonne dalla caramella facile. Il problema del vizio nasce generalmente quando, già a pochi giorni di vita, il piccolo esprime tutto il suo disappunto e bisogna decidere se prenderlo in braccio o lasciarlo urlare. Il genitore che non riesce a resistere decide per la prima soluzione; appena il piccolo si zittisce il primo pensiero sarà: ecco, si è già abituato !

Per fare un po’ di chiarezza dobbiamo però distinguere tra vizio e cattiva abitudine; il vizio si riferisce a qualcosa che desideriamo, ma che è dannoso alla nostra salute (ad esempio il fumo, la cioccolata, il gioco d’azzardo, ecc.), mentre una cattiva abitudine non arriva ad essere tanto dannosa e soprattutto non darà dipendenza.

Diciamo subito che, a differenza dell’adulto, un neonato non può desiderare qualcosa che sia dannoso per la sua salute, perché la sua esistenza è ancora regolata dall’istinto. Come ogni altro mammifero, anche i piccoli d’uomo possono desiderare solo quello di cui hanno bisogno; desiderano mangiare solo quando hanno fame e non quando passano davanti alla vetrina di una pasticceria, desiderano uscire a passeggio quando sono stanchi di guardare il soffitto bianco e non quando l’orologio dei genitori segna le quattro di sabato pomeriggio.

Proprio perché è ancora regolato dall’istinto il nostro esigente cucciolo non può essere capace di vedere il mondo con gli occhi dei suoi genitori e pertanto non è ancora in grado di capire quando è opportuno fare determinate richieste; lui urla, qualcuno ascolterà e prima o poi arriverà.

In passato si riteneva che un lattante non avesse competenze e pertanto non sapesse cosa voleva, mentre gli adulti, istruiti dagli esperti, sapevano esattamente cosa era meglio per lui: l’orario dei pasti, la quantità del latte, gli orari e i tempi di passeggiata, le ore e i minuti di sonno, i tempi e le modalità dei giochi, …

Dagli anni ’60 in avanti si è scoperto che fin dai primi giorni ogni neonato, pur essendo incapace di procurarsi il cibo in maniera autonoma, sa già esattamente cosa gli serve per sopravvivere e per essere felice: i suoi bisogni e i suoi desideri coincidono. Lentamente abbiamo capito che se “chiediamo”  a lui cosa gli serve è impossibile fare errori; decidere la suo posto diventa invece veramente difficile.

Attenti psicologi, come Piaget, hanno capito che i lattanti nei primi mesi di vita non sono in grado di capire se stessi separati dal mondo esterno; loro e il mondo sono la stessa cosa, il loro corpo e quello della mamma è percepito come un’unica entità. Nei primi mesi il neonato è incapace di pensare il tempo, il prima e il dopo, non sa distinguere tra i mezzi e i fini e capire che esistono rapporti di causa -effetto; riesce a vivere soltanto il qui-adesso. Quando un neonato presenta un bisogno, sia fisico che mentale, il suo cervello mette in atto una serie di azioni finalizzate a chiamare un adulto che lo possa aiutare a soddisfare il suo problema e a mantenere un equilibrio psico-fisico di benessere. Noi dunque siamo la sua estensione nel mondo, e siamo lì per aiutarlo a vivere ed essere felice.

Dovremmo ricordarci che un neonato biologicamente nasce quando il suo organismo è in grado di vivere autonomamente fuori dall’utero della sua mamma, ma in realtà non è ancora nato: nascerà veramente al mondo quando sarà consapevole di essere al mondo. Fino a quel giorno, quando vorrà essere abbracciato, sarà obbligato a piangere per essere sicuro di averci distratto dalle nostre occupazioni.

Se essere tenuti in braccio e cullati è da considerare un vizio o una cattiva abitudine, evidentemente abbiamo fatto troppa confusione e dimostriamo di avere anche noi bisogno di essere presi un po’ in braccio da qualcuno e di recuperare la serenità e la dolcezza che hanno i nostri neonati quando sono finalmente abbracciati.


Sapevate che…

Sapevate che ? articoli di VocidiBimbi.it

Sapevate che…

La femmina di orso nero americano si accoppia d’estate, ma i suoi ovuli fecondati non si impiantano e rimangono in uno stato sospeso. Durante l’inverno si ritira nella tana e va in letargo; se ha accumulato abbastanza grasso per la lattazione gli ovuli si impiantano, altrimenti l’impianto non si produce e il concepimento viene sospeso in attesa di tempi migliori.

I canguri mettono al mondo figli grandi come l’unghia del pollice, quasi dei feti che si sviluppano fuori dal grembo materno. Il cangurino rinchiuso nella sacca ventrale è nutrito da un capezzolo che produce un latte di crescita con pochi grassi e molte proteine, mentre un altro capezzolo più laterale e più lungo produce un latte più sportivo ricco di carboidrati: è destinato al cangurino più grande che salta vicino alla mamma e che ogni tanto le si avvicina per alimentarsi. Quando uno dei due cangurini smette di poppare, calano i livelli di prolattina e il blastocina che si trovava in attesa può iniziare a svilupparsi.

Le foche dal cappuccio, sebbene piuttosto grandi, hanno il periodo di lattazione più breve che si conosca: circa una settimana. La madre accumula il grasso in anticipo, partorisce su banchi di ghiaccio galleggianti e nutre i piccoli con panna: un latte con circa il 60% di grassi. Il piccolo aumenterà di circa 25 chili in pochi giorni; quando il banco di ghiaccio si spezzerà, il cucciolo potrà andare alla deriva e ritrovarsi così improvvisamente svezzato in un mondo gelido dove soltanto i più cicciottelli sopravvivranno.

Alcuni animali, come i lupi, partoriscono cuccioli particolarmente immaturi che vengono tenuti al caldo della tana per parecchio tempo dopo il parto; il latte di queste madri è per questo motivo particolarmente ricco di proteine. I bovini, che partoriscono cuccioli capaci di mettersi in piedi a poche ore dal parto, producono invece un latte povero di proteine e molto ricco di zuccheri.

Tra i piccioni, le tortore e i fenicotteri la prolattina stimola sia nelle femmine che nei maschi il cosiddetto “latte di gozzo”, un cibo parzialmente digerito misto a muco che prodotto dai tessuti della gola viene rigurgitato nella bocca del piccolo. E’ questo uno dei pochi casi in natura di ruolo parentale completamente unisex.

La madre ornitorinco è priva di capezzoli , ma riesce ugualmente ad allattare i suoi piccoli: il latte le sgocciola dal pelo da apposite ghiandole del petto. Secondo gli evoluzionisti questo tipo di nutrimento dei piccoli rende plausibile l’idea di uno sviluppo casuale della lattazione.

Subito dopo il parto le pecore sono fortemente attratte dall’odore della pellicola viscida che ricopre l’agnello e nel leccarla imparano a riconoscere l’odore del figlio. Per indurre la madre di un agnello nato morto ad allattarne uno non suo, gli allevatori ungono quest’ultimo con il liquido amniotico dell’agnello deceduto; leccandolo la pecora diventa disposta ad allattare il piccolo e quindi ad adottarlo.

Il topo subito dopo il parto si ciba della placenta al fine di fare un ultima scorpacciata di estrogeni e progesterone; tali ormoni dispongono la madre alla cura e al legame con i piccoli, il resto lo faranno gli ormoni della lattazione: prolattina ed ossitocina.

I papà scimmie che vivono in libertà dedicano solo il 5 % del loro tempo a giocare con i piccoli, ma quando sono tenuti in cattività (dove non devono preoccuparsi di difendere la loro famiglia dagli attacchi dei predatori) il tempo passato con i piccoli aumenta fino al 50%.

Nel mondo animale soltanto tra gli uomini, gli elefanti e le balene le femmine dopo il periodo riproduttivo continuano a vivere per lungo tempo tra le figlie e i nipoti contribuendo alle cure dei piccoli; sembra pertanto che le nonne siano un bene molto raro e prezioso.

(Parte delle informazioni contenute nel presente articolo sono tratte dal bel libro della Hrdy   “Istinto materno” – 2001)


Il tabù del contatto

Il tabù del contatto articoli di VocidiBimbi.it

Il tabù del contatto

Prototipo di tutto il prendersi cura del
bambino è nel tenerlo in braccio.
(D.W.Winnicott)

Cercando ricette in vecchi numeri della Cucina Italiana, abbiamo scoperto che negli anni ‘50 la rivista non trattava soltanto di cucina, ma intratteneva le sue lettrici anche con argomenti di puericultura dedicando uno spazio ai quesiti dei lettori. In una di queste lettere e nella relativa risposta, a nostro avviso, appare chiaramente come in quegli anni veniva considerata la relazione genitori-figlio. In parte le idee e le pratiche di quel periodo sono arrivate fino ad oggi e ancora capita di sentirsi chiedere: “tenendolo in braccio non rischio di viziare il mio bambino ?”.

Lettera da un marito.

(…) Il bimbo è nato sano e pacifico, e le prime notti trascorse a casa dopo il ritorno di mia moglie e del piccolo dalla clinica sono state tranquillissime. Ma una sera, all’improvviso, forse per uno di quei lievi malesseri che nei neonati è tanto difficile prevedere, il bambino ha cominciato a piangere. Naturalmente mia moglie ed io ci siamo molto impressionati; siamo balzati dal letto agitatissimi entrambi, abbiamo tirato su il bambino dal lettino e, così, avvolto in una coperta, abbiamo cominciato a cullarlo a turno, camminando su e giù per la stanza e canticchiando a bassa voce. Un po’ per volta il piccolo si è calmato, ma non appena uno di noi accennava a riadagiarlo nella culla, riattaccava con strilli che andavano alle stelle.(…)

Mia moglie afferma che sono stato io che, la prima sera, ho subito sollevato il bambino dalla culla e ho cominciato a vezzeggiarlo; io ribatto che è stata lei che, dopo i vani tentativi di rimetterlo giù, ha continuato a portarlo a spasso per la casa.(…)

Risposta.

(…) Lei dal canto suo, non deve impressionarsi se il bambino riattaccasse a piangere, perché in questo caso (a meno che il bambino non sia ammalato) si tratterà senz’altro di capriccetti che vanno eliminati con fermezza, fino dalla più tenera età. Forse le prime volte il piccolo, non vedendosi più accontentato, continuerà a piangere, ma lo lasci fare; quando avrà visto vani tutti i suoi mezzi di persuasione, si calmerà da solo. Questa non è “durezza di cuore” (come qualcuno ancora afferma), bensì l’unico sistema per correggerlo da questa cattiva abitudine (…).

                                                                                          da La Cucina Italiana Dicembre 1956

~

Questo padre si aspettava un figlio pacifico che lo lasciasse tranquillo; stava filando tutto liscio quando una notte improvvisamente, senza nessun segno premonitore, il bambino ha iniziato a piangere. Nessun dubbio che quel pianto rappresentasse una modalità di esprimersi del bambino; quel pianto è vissuto soltanto come una tremenda scocciatura che interrompe il sonno. Questi due genitori sono impressionati dal pianto, come se loro figlio si fosse messo ad abbaiare o a belare o come se a loro stessi non fosse mai capitato di piangere. Fortunatamente, nella loro totale incapacità e incomprensione, vengono colti dall’istinto, quel istinto innato, fino a quel momento sopito, ma  risvegliato e sollecitato da quel pianto provvidenziale. Istintivamente fanno quello che dovevano fare: lo prendono in braccio e lo cullano. Fanno, inconsapevolmente, ciò che da migliaia di anni ogni genitore fa col proprio bambino nei momenti di difficoltà. Questi poveri genitori subiscono però la frustrazione dell’insuccesso (ma sembra che non ne siano per nulla abituati) e vedendo gli strilli andare dritti alle stelle (o forse semplicemente al piano di sopra), si interrogano in quale imperdonabile errore sono caduti. Nella prima ipotesi è il padre ad essere colpevole di grave vezzeggiamento, colpevole cioè di avere espresso sentimenti d’amore verso il proprio bambino; la seconda ipotesi vede la madre incapace di far stare il bambino al suo posto, cioè nella culla (ma potremmo definirla cuccia o gabbia). Questa madre si prende il lusso di girare per casa col bambino in braccio, e sembra quasi provarne piacere; nessun dubbio sul perché nel resto del mondo, da millenni, milioni di madri (e di padri) vivono e lavorano con un figlio piccolo aggrappato addosso (ma forse fanno così perché sono poveri).

La risposta dell’esperto permette di capire perché, in questa società occidentale della passata generazione, si arrivasse con tanta naturalezza a formulare quesiti tanto assurdi. La risposta dell’esperto è senz’altro e di gran lunga peggiore della domanda e soprattutto dimostra quanto, ad ogni livello culturale, quella società civile era lontana dall’aver compreso il mondo dell’infanzia. Probabilmente in nessuna realtà pretecnologica sarebbe nata una risposta come quella costruita dal nostro esperto, dimostrando come il maternage e la puericultura non hanno delle vere basi scientifiche, ma sono principalmente il prodotto di fattori culturali e sociali.

L’esperto fa diagnosi differenziale: non trattandosi di malattia, il piccolo è affetto da capriccetti (nessun dubbio che psiche e soma possano avere qualche piccolo punto di contatto); ma niente paura, perché i capriccetti possono essere guariti, l’importante è agire in fretta e con fermezza. L’esperto, non lo dice, ma fa intendere che questo inconveniente è stato provocato dal comportamento poco corretto di questi genitori che al primo pianto sono caduti nella trappola tesagli dal loro furbo piccoletto. E’ necessario riportare tutto nel giusto binario: il bambino, anche se ancora piccolo (ma forse proprio per questo) deve capire quale è il suo posto e quale è l’ordine delle cose. Il suo pianto non è provocato da alcuna malattia, pertanto è irrazionale e privo di diritti; occorrerà un po’ di tempo, ma alla fine comprenderà che i suoi richiami  non otterranno risposta e ogni suo tentativo di persuasione non potrà che fallire. Si cerca di convincere quei due poveri genitori sull’utilità che il loro bambino  sperimenti fin dalla tenera età la frustrazione di non avere risposte d’amore provando sulla propria pelle l’angoscia dell’abbandono; questo lattante dovrà arrivare a non desiderare più l’abbraccio e il contatto, tanto sono stati frustrati i suoi tentativi.

Alla fine all’esperto viene un dubbio riguardo la “durezza” di un tale consiglio, ma il cattivo pensiero viene velocemente rimosso attraverso il giudizio insindacabile che questi pianti altro non sono che cattive abitudini (con le quali stranamente quasi tutti i bambini nascono) e dalla certezza granitica che comunque non esistono altri mezzi di correzione. Resistere ai richiami del bambino è faticoso (e probabilmente innaturale), ma viene fatto tutto per il suo bene e per la sua educazione (oggi potremmo dire per il suo addomesticamento). Poco importa se da grande questo bambino, che ha sperimentato dai primi giorni di vita la perdita di un abbraccio amoroso, potrà ritrovarsi incapace d’amare, indeciso tra esprimere varie forme di nevrosi o una sana e liberatoria violenza.

PS. Forse a qualcuno può essere sfuggito, ma l’articolo è stato intitolato lettera da un marito e non lettera da un papà…


Allattare é semplice

Allattare è semplice articoli di VocidiBimbi.it Allattare é semplice

Allattare al seno è una cosa semplice. Se così non fosse, probabilmente ci saremmo estinti molti millenni fa; i nostri cuccioli, infatti, sono stati geneticamente programmati quando non c’erano né biberon né latte artificiale. Dagli studi scientifici di cui disponiamo, sappiamo che almeno il 95 % delle donne dovrebbe essere in grado di allattare i loro piccoli senza aver bisogno di integrazioni con altri alimenti.

Per riuscire ad allattare occorrono essenzialmente due cose: un seno e un bambino che succhia. Poi è utile aggiungere un pò di motivazione e molta pazienza. Quando un neonato nasce prematuro o con difetti particolari, può capitare che non riesca a succhiare con sufficiente forza; in tutti gli altri casi è sufficiente offrire il seno quando il bambino è sveglio e dimostra di aver voglia di mangiare.

Nei primi giorni di vita il neonato deve ancora imparare a gestire la fame e la sete: nella pancia infatti il nutrimento arriva attraverso la placenta con ritmo costante ed è già tutto digerito !
L’istinto insegna al bambino a richiedere il seno molto spesso; il suo cervello infatti sembra già informato che il latte contiene prevalentemente zuccheri, molto utili per avere rapidamente energia disponibile, ma poco efficaci per togliere la fame per tante ore.

Nei primi giorni il seno produce il colostro, che è un latte ricco di proteine, vitamine e anticorpi, che serve per rendere l’intestino adatto alla digestione del latte più ricco che arriverà dopo 2-3 giorni. Successivamente al latte di transizione, ad alto contenuto di zuccheri, arriverà il latte definitivo che presenta una quota di grassi tale da permettere al bambino di sentirsi sazio per un periodo di tempo maggiore.

Come si può capire, il seno produce il latte giusto al momento giusto, favorendo l’attivazione della funzione digestiva in maniera ottimale e graduale. Non esiste quindi il latte poco nutriente e non serve a nulla analizzare il latte prodotto dal seno. Può capitare, soprattutto nei primi giorni, che il seno produca poco latte, in questo caso il bambino chiederà di mangiare un pò più spesso e compenserà da solo questa transitoria difficoltà.

Nei primi giorni tutti i bambini che nascono a termine e con peso adeguato (maggiore di 2500 grammi), hanno scorte caloriche sufficienti per sopportare una alimentazione scarsa; sarà comunque molto importante ottenere una adeguata suzione al fine di mantenere alta la stimolazione del seno.

Soprattutto dopo la nascita del primo figlio, il seno ha bisogno di qualche giorno per imparare a svolgere questa nuova funzione. Ci penseranno due potenti ormoni a regolare questa attività: la prolattina e l’ossitocina. Questi ormoni sono prodotti dal cervello della mamma quando il capezzolo viene stimolato dal bambino; lo stress e la paura possono ostacolare la produzione di queste due sostanze.

L’ossitocina, dopo il parto, possiede anche la doppia funzione di provocare la contrazione dell’utero e quindi di impedire una eventuale emorragia. Ancora una volta la natura ci dimostra che nulla succede per caso e che tutto quanto avviene è perfettamente programmato e selezionato in anni di evoluzione.

Se noi siamo il prodotto della nostra evoluzione, anche l’allattamento dovrà essere considerato come la migliore invenzione che la natura è stata capace di offrirci; qualunque alternativa più efficace si sarebbe imposta sostituendo i precedenti sistemi. L’industria infatti non ha mai cercato di inventarsi un latte migliore di quello materno, ma ha sempre lavorato per ottenere un prodotto più simile possibile; questo è molto importante per quel 5 % di mamme che presentano una produzione di latte molto ridotta (ipogalattia) o per quelle che hanno un figlio prematuro o con difetti; per tutte le altre mamme non sembra logico che venga utilizzato il latte di imitazione potendo disporre dell’originale.

E’ inutile cercare di fare paragoni precisi tra il latte artificiale e quello materno. Il latte prodotto dal seno contiene elementi che provengono dal corpo della mamma, è ottenuto semplicemente dal suo sangue, proprio come succedeva nella pancia attraverso la placenta. Col latte della mamma il bambino continua a mangiare la mamma, continua a crescere cibandosi di quanto sua mamma è capace di fornirgli. Attraverso il suo latte la mamma trasmette al bambino non soltanto elementi nutritivi, ma invia anche sostanze (come gli ormoni, gli anticorpi, le endorfine, ecc.) che rappresentano se stessa, la sua storia, le sue emozioni, i suoi umori; attraverso il latte, parallelamente alla nutrizione, si ottiene una comunicazione allo stesso tempo fisica e mentale che aiuta entrambi a conoscere l’altro e se stessi. La madre si riconosce mamma di quel bambino, quel bambino si riconosce cucciolo di quella mamma.

Allattando col biberon e usando latte artificiale questa importante comunicazione può avvenire ugualmente, ma con più difficoltà, proprio perchè vengono a mancare molte preziose sostanze veicolate dal latte. In questo caso potrebbe essere utile compensare col contatto pelle-pelle, con gli sguardi, con le carezze, con i massaggi, con la voce…

E’ importante che ogni mamma sia consapevole che quando attacca al seno il bambino non lo sta semplicemente alimentando; per questo è utile sostenere ogni mamma perchè riesca ad allattare al seno anche soltanto per brevi periodi o per qualche poppata al giorno.

Se queste considerazioni sono convincenti e crediamo che allattare al seno rappresenti una straordinaria opportunità, possiamo passare a considerare le modalità che si sono dimostrate più efficaci per un buon allattamento.

  • E’ fondamentale attaccare il bambino al seno precocemente dopo il parto; nelle prime due ore di vita il bambino è più sveglio e il seno inizia subito ad attivarsi. Per il bambino questo primo contatto rappresenta la prima esperienza del mondo esterno e gli permette di trovare nel seno della mamma un sicuro riferimento per adattarsi alla sua nuova condizione.
  • Nei primi giorni è necessario attaccare il bambino molto spesso, tutte le volte che si mostra interessato a succhiare; questo serve per gratificare il bambino, ma soprattutto per mantenere alti i livelli degli ormoni della lattazione (un seno poco stimolato produrrà poco latte e lo farà molto lentamente).
  • Per allattare veramente a richiesta bisogna cercare di avere il bambino in camera e accettare di poter dormire per periodi brevi (considerando che un neonato dorme almeno 16 ore al giorno, bisognerebbe cercare di riposare quando riposa lui).
  • Se siamo al primo figlio, o se i nostri eventuali precedenti allattamenti non sono stati positivi, dobbiamo farci aiutare dal personale dell’ospedale e poter avere qualche consiglio prezioso per evitare di dover imparare tutto sulla nostra pelle (e su quella del nostro bambino).
  • Dobbiamo resistere alla tentazione di dare al bambino biberon e altri liquidi; sarà eventualmente il pediatra a segnalarci eventuali problemi e a prescrivere il latte artificiale come fosse una medicina.

Ricordiamoci che generalmente i neonati calano nei primi 2-3 giorni circa il 10 % del peso che hanno alla nascita e poi, quando iniziano a mangiare un pochino di più, smettono di calare e possono mantenersi ancora per qualche giorno senza crescere (in pratica quello che assumono bilancia quello che consumano); soltanto tra la prima e la seconda settimana di vita inizia l’aumento di peso che porta, in tempi più o meno lunghi, a recuperare il peso della nascita. E’ un processo che dura per tutte le prime due settimane dopo il parto e che richiede pazienza e fiducia nelle capacità proprie e del bambino.

Le persone che stanno vicino alla mamma (parenti e personale sanitario) devono essere tanto bravi da dare sostegno senza minimizzare eventuali problemi, ma fornendo coraggio, evitando informazioni inutili e aiutando in modo personalizzato.

In ospedale le mamme dovranno essere assistite nella fase di avvio dell’allattamento (che è la più importante), ma poi una volta a casa occorrerà ancora sostegno per riuscire a proseguire l’allattamento senza troppa fatica o incertezze. Alla fine della prima settimana di vita e nel corso della seconda, l’ostetrica o il pediatra o altre mamme esperte potranno contribuire a risolvere eventuali difficoltà e soprattutto aiutare la mamma a non sentirsi sola.

In particolare il papà può svolgere un ruolo molto attivo nel sostenere, fisicamente e psicologicamente, la moglie condividendo i problemi e aiutando a trovare le soluzioni più semplici e più logiche. Il papà è colui che può veramente condividere con la mamma l’emozione e il piacere dell’allattamento; ancora una volta, come durante tutta la gravidanza, la sua partecipazione emotiva alla nascita del figlio diventa un vero valore aggiunto al rapporto madre-bambino.

L’allattamento al seno è anche una delle cose più ecologiche che possiamo fare; non produciamo alcun tipo di inquinamento e non provochiamo alcuna alterazione ambientale. E’ anche la maniera più economica di nutrire un bambino; è praticamente a costo zero. Anche dovendo fare poppate frequenti, si potrà ottenere un grande risparmio di tempo essendo il latte del seno già pronto, alla temperatura giusta e già presente in un contenitore sterile.

E’ probabilmente giunto il momento di tentare una strada più pulita e semplice, togliendo l’allattamento dall’ambito improprio della medicina riportandolo nel campo delle cose normali e quotidiane; la medicina potrà invece continuare ad occuparsi di quei casi selezionati per i quali l’allattamento presenta ostacoli di natura sanitaria (ingorgo, ragadi, mastite, infezioni materne, assunzioni di farmaci da parte della mamma, ecc.).

Per favorire questo cambio di rotta nel promuovere e sostenere l’allattamento al seno, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) insieme all’UNICEF da alcuni anni promuove corsi per gli operatori sanitari al fine di divulgare conoscenze e strategie. Molti punti nascita stanno lavorando con i propri medici, infermiere, ostetriche e assistenti sanitarie per diffondere queste raccomandazioni.

Per riuscire ad essere maggiormente incisivi l’OMS nel 1992 ha redatto i cosiddetti “10 Passi” per segnalare quali sono i punti di maggiore importanza da introdurre in tutti i punti nascita. Gli ospedali che riescono a realizzare queste indicazioni, dopo essere stati verificati da una commissione internazionale, ricevono la certificazione di “Ospedale amico dei bambini”. In Italia soltanto 7 ospedali sono riusciti ad avere questo ambito riconoscimento. I “10 Passi” però devono essere conosciuti da tutti e tutti devono, nel loro ambito, impegnarsi perchè sia possibile realizzarli in qualunque luogo vi sia la nascita di un bambino.

Per chi desidera approfondire segnaliamo che nella nostra sezione link potrete trovare gli indirizzi dei siti più ricchi e documentati su questo argomento; altre informazioni relative ai vantaggi dell’allattamento al seno e alcune indicazioni per una corretta tecnica di attaccamento al seno potrete trovarle nell’articolo “Allattamento al seno” curato da Ciro Capuano.

Un altra pagina da leggere riguarda i famosi “10 Passi” dell’OMS/UNICEF.


Latte ed emozioni

Latte ed emozioni articoli di VocidiBimbi.it

Latte ed emozioni

L’allattamento è la prosecuzione della gravidanza, allorché il bambino si è trasferito dall’interno all’esterno, si è separato dalla placenta, ha afferrato il seno e beve non più rosso, ma bianco sangue. Beve sangue? Sì, sangue della madre, perché è questa la legge della natura.(J. Korczak, 1920)

Silvia è attaccata al seno, la mamma la tiene tra le braccia e la guarda. Nei primi minuti Silvia è vorace e concentrata, ha gli occhi quasi chiusi, deglutisce in fretta, ma poi rallenta e si rilassa, apre gli occhi e guarda in alto. Dal suo punto di vista vede il mento della mamma, una linea curva come una luna, e al di sopra un’altra linea curva più piccola ed espressiva: è la bocca che si apre in un sorriso in risposta allo sguardo di Silvia. Sopra alla seconda linea curva compaiono gli occhi della mamma, due punti perfettamente simmetrici; questi punti del viso emettono una luce particolare che entra in Silvia e la abbraccia dall’interno. Anche gli occhi di Silvia emettono luce e l’incontro è un vero cortocircuito che produce energia e ricarica i loro sentimenti, già colmi.

Silvia, mentre succhia al seno, sente il latte (alla stessa temperatura della pelle del capezzolo) entrarle nello stomaco, al centro del suo corpo, appena sotto al cuore. Questo liquido annulla la fame, che per Silvia significa minaccia alla sopravvivenza, paura di morire. L’arrivo del latte dentro di lei vuol dire certezza di vivere, piacere di esistere.

Mentre il liquido scende nel suo corpo per poi distribuirsi attraverso il sangue a tutte le cellule, Silvia muove le labbra e la bocca con un complesso movimento capace di procurarle profondo piacere, lo stesso provato nella pancia quando entrava in bocca liquido amniotico o quando riusciva a mettersi in bocca un dito. Oltre alla bocca, anche il resto del corpo partecipa; Silvia è accoccolata nella nicchia tra le braccia e la pancia della mamma, il corpo della madre la avvolge. La mamma ora è il suo nido; non una semplice protezione, per lei ora una vera e propria identificazione. Questa posizione permette a entrambe di proseguire una relazione che le ha viste una dentro l’altra.

Più tardi Silvia potrà restare da sola, a distanza dalla mamma, ma ora è il momento di ritrovarsi, come due amanti che sono stati separati durante il giorno e alla sera ritrovano il loro contatto fisico ed emotivo, si uniscono per potersi separare nuovamente e nuovamente ritrovare. Forse è per questo che i neonati devono alimentarsi così frequentemente.

Ma Silvia non è ancora capace di riconoscere se stessa, la propria individualità e il proprio corpo, sente se stessa come un’unica sensazione che parte dal suo interno e si dilata fino a dove i suoi sensi sono in grado di giungere. Silvia sente il seno in bocca, e il contatto con il corpo della mamma, come se questo fosse un prolungamento del suo corpo; magicamente, quando apre la bocca sente il seno entrare e a quel punto il seno diventa una parte di lei. La mamma quindi non è ancora una persona con una propria identità e un proprio corpo, per Silvia è ancora una parte di sé, un completamento di se stessa, un filtro tra lei e il resto del mondo (misterioso e minaccioso perchè ancora non sufficientemente sperimentato).

Succhiando al seno Silvia coinvolge tutti i suoi sensi, senza riuscire però ancora a razionalizzare, separare e catalogare le proprie percezioni. Vive cioè una realtà sinestesica, dove tutte le sue percezioni sono legate e mescolate tra loro; per lei gli odori possono avere un colore, e un raggio di luce può essere afferrato e assaggiato. Così quando Silvia succhia il latte della mamma, non succhia soltanto il suo latte, ma beve con gli occhi il viso della mamma, beve con l’olfatto l’odore della mamma, beve con il tatto la pelle della mamma, beve con l’udito i suoni prodotti dalla mamma (oltre alla voce, anche il rumore del cuore e del respiro, proprio come avveniva nell’utero).

Durante la poppata i suoi sensi sono estremamente attivi e sinergici; così nel momento della poppata sono tantissimi i bisogni che vengono contemporaneamente soddisfatti: fame, sete, calore, contenimento, contatto, visione, …e per un po’ si realizza un nuovo rassicurante equilibrio.
Come facciamo a dire che Silvia sta mangiando, che si sta alimentando? Silvia si sta certamente nutrendo, ma il latte che succhia rappresenta soltanto una parte del suo nutrirsi; sta mangiando la mamma e si sta cibando di emozioni e sensazioni. Non è soltanto il latte a nutrire le sue cellule, anche tutte queste forti emozioni la nutrono, in particolare arricchiscono il suo cervello deputato ad assorbire e contenere le esperienze vissute.

Nei primi mesi di vita, durante la poppata, Silvia vive il momento più significativo della propria esistenza: in quel momento tutto acquista senso e coerenza. Crescendo, il momento del pasto potrà separarsi dalle altre esperienze, anche se cibarsi rimarrà un’esperienza da condividere con gli altri e il cibo manterrà un valore non soltanto nutritivo.

Attraverso l’allattamento la madre di Silvia unisce nutrimento biologico a nutrimento emotivo, trasformandosi in esperienza totalizzante. Così come dalla sua placenta per nove mesi sono passate le sostanze per far vivere e far crescere la sua bambina, dopo la nascita è il suo seno a fornire sostanze vitali che, come il sangue placentare, hanno origine direttamente dal suo corpo. Silvia cioè continua a mangiare la mamma.

Già nel 1547 Ludovico Dolce definiva il latte di donna ‘sangue bianco’, e spiegava: ‘provide la natura alla nudritura de fanciulli, convertendo con meraviglioso artificio il sangue in latte, affine che quello aspetto non spaventasse’. Effettivamente il latte della mamma, mantenendo Silvia in stretta dipendenza biologica ed emotiva con la mamma, permette una separazione dal corpo materno più lenta e progressiva, e per questo più facilmente sopportabile.

Nei primo periodo dopo il parto durante la suzione Silvia può addormentarsi direttamente in sonno REM, cominciando immediatamente a sognare; ma a sognare cosa? Probabilmente di continuare a poppare oppure di essere tornata nella pancia ‘dove ogni bisogno è soddisfatto prima di poter essere percepito’. Nei mesi successivi invece comincerà a poppare e intanto a toccare la mamma e poi a parlare con lei; alle parole della mamma risponderà con in suoi versetti, a volte tenendo il capezzolo in bocca, altre volte staccandosi e riattaccandosi una volta finito il suo discorso.

La poppata diventa così un dialogo intimo e profondo, dove il cibarsi diventa semplicemente una occasione o uno strumento per raggiungere insieme ben altri luoghi dell’essere, dell’essere mamma e dell’essere Silvia.