Attenzione sto nascendo

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Nessuno di noi purtroppo è in grado di ricordare la propria nascita; però possiamo tentare di immaginarci cosa abbiamo vissuto in quel momento. Questa operazione permette di comprendere più a fondo la nascita dei nostri figli e, nel contempo, provare a rivivere la nostra nascita.

Sappiamo che stare nella pancia della mamma immersi nel liquido permette di non sentire la forza di gravità e quindi di stare comodi anche a testa in giù. Il liquido che ci avvolge riesce a ridurre gli stimoli luminosi e ad attenuare quelli uditivi; possiamo sentire bene i rumori dell’intestino della mamma e un pò più lontano il rumore del suo cuore e del suo respiro. In pratica non siamo mai veramente in silenzio e non siamo mai veramente immobili; anche quando la mamma dorme, il movimento ritmico del suo respiro (tramite il diaframma) riesce a dondolarci. Le pareti dell’utero ci toccano e ci accarezzano continuamente soprattutto nelle ultime settimane di gravidanza quando lo spazio diventa veramente poco (nei momenti nei quali la mamma cammina il massaggio dell’utero è un vero piacere !).

Quando è ora di nascere il nostro cervello incomincia una stretta corrispondenza con quello della mamma: ci mandiamo diversi messaggi sotto forma di ormoni per metterci d’accordo sul da farsi. La placenta si attiva per organizzare l’evento e l’utero comincia a lavorare per prepararci la via d’uscita.

Le contrazioni hanno proprio questa funzione preparatoria e questo ci provoca una riduzione di sangue e di ossigeno. Niente paura però, perché fortunatamente noi neonati siamo tutti “doppati”; la natura infatti, conoscendo bene la difficoltà di nascere, ci ha fornito un sangue speciale per sopportare la carenza di ossigeno: abbiamo infatti l’ematocrito come quello di alcuni atleti “doppati” (noi l’eritropoietina non la compriamo al mercato nero, ma ce la produciamo da soli). Inoltre siamo già abituati a stare con poco ossigeno: la mamma non riesce a respirare per due e così ci siamo abituati a vivere come gli alpinisti a 7000-8000 metri di altitudine.

La nostra resistenza alla carenza di ossigeno ci sarà molto preziosa subito dopo la nascita per resistere un po’ di minuti se l’aria non arriva subito nei polmoni e nel sangue; per questo siamo molto più forti degli adulti e possiamo sopportare anche alcuni minuti di arresto respiratorio senza rischiare danni al cervello.

Per riuscire a passare senza danni dal canale del parto, ancora una volta, la natura ci ha fornito di mezzi speciali: le ossa del nostro cranio infatti non sono unite tra loro e questo rende la nostra testa molto elastica (se occorre possiamo ridurre la circonferenza cranica anche di due centimetri); anche tutte le altre ossa e articolazioni del nostro corpo sono molto elastiche e resistenti alla trazione.

E pensare che gli adulti ci considerano deboli e delicati; in realtà sarebbero proprio loro a non essere in grado di sopportare senza danni il trauma della nascita.

Quando finalmente riusciamo ad uscire con la testa e le spalle capiamo che la fatica è quasi finita. Ma subito dopo ci accorgiamo che quanto avevamo vissuto fino a quel momento è stato completamente stravolto e le nuove sensazioni sono tanto diverse che ci sembra quasi di morire.

Immediatamente ci sentiamo cadere a causa di una forza nuova che ci attira verso il basso, poi siamo colpiti da luci violente e i rumori, senza il filtro del liquido amniotico, ci fanno male; anche se la stanza è calda sentiamo freddo perché siamo bagnati (è un po’ come uscire da una doccia calda). Non cadiamo perchè mani sicure ci sostengono, ma essere toccati e afferrati in quel modo è spaventoso; dov’è finito il massaggio dolce dell’utero ?

Tutto questo sconvolgimento però ha una certa utilità: il nostro cervello, registrando queste sensazioni, capisce che è cambiato tutto e velocemente invia precise istruzioni agli organi sotto il suo controllo. Avvisa la gabbia toracica e i polmoni di far entrare aria, ma gli alveoli fanno fatica ad aprirsi perché devono vincere la resistenza elastica iniziale (è la stessa fatica che si incontra quando si deve gonfiare un palloncino di gomma, dopo lo sforzo iniziale però continuare a far entrare aria è molto più facile). Per eseguire con efficacia questo comando ci siamo abituati a piangere e questo aumenta la forza del nostro respiro; e poi abbiamo molti motivi per lamentarci !

Intanto il sangue del cordone ombelicale che prima andava alla placenta, ora torna indietro al nostro cuore ed è disponibile per i polmoni. In utero i nostri polmoni non dovevano funzionare e pertanto era inutile che ricevessero sangue; adesso che contengono aria hanno bisogno anche di sangue per trasportare l’ossigeno al resto del corpo. In pochi secondi quindi il nostro cuore deve cambiare la sua circolazione (ma la natura lo sapeva e aveva ancora una volta predisposto tutto); mentre in utero il sangue venoso e arterioso poteva mescolarsi, adesso in una manciata di minuti si è realizzata la separazione del cuore di destra e del cuore di sinistra; si è così formata la circolazione polmonare e quella sistemica che ci accompagnerà per tutto il resto della vita.

Quasi senza accorgercene ci ritroviamo a saper respirare da soli e a saper ossigenare autonomamente i nostri organi; e nessuno ce lo ha insegnato !

Già due o tre minuti dopo la nascita, se qualcuno ci asciuga e ci abbraccia, riusciamo a rilassarci e a smettere di lamentarci, allora possiamo aprire gli occhi e guardarci intorno soddisfatti.

In pochissimi minuti, nonostante tutto intorno a noi sia cambiato, nonostante il nostro organismo abbia modificato tutte le sue funzioni, ci sentiamo bene, adattatati al nuovo stato quasi non fosse successo niente: probabilmente è questo il vero miracolo della nascita, che nessun scienziato potrà mai spiegare.

Adesso che siamo tranquilli in braccio alla mamma (come è bella anche da fuori !) il nostro viso è rilassato e sembra esprimere tutta la fiducia possibile per il futuro. Capiamo che si stanno preparando due belle bisacce per il latte e più su scorgiamo un viso stanco ma quasi più felice del nostro. Se stiamo attenti (e se intorno non c’è troppa confusione) ci accorgiamo che è presente un’altra persona emozionata; fino ad oggi l’avevamo percepita da lontano, ma non l’avevamo ancora conosciuta bene. Dobbiamo ora toccarne la pelle e annusarne l’odore: speriamo che qualcuno ci porti tra le sue braccia. Nessuno ci ha detto che quello è il papà, ma ognuno di noi alla nascita ha già dieci miliardi di cellule nel cervello e dentro ognuna di queste cellule sono presenti 46 cromosomi, metà di questi erano suoi… .


Nascita di un cucciolo d’uomo

Nascita di un cucciolo d'uomo articoli di VocidiBimbi.itNascita di un cucciolo d’uomo

Innanzi tutto possiamo metterci tranquilli :  per almeno 100.000 anni prima di noi tutti gli esseri della nostra specie sono nati allo stesso modo. Questo significa che il nostro modo di nascere é certamente il migliore possibile: se ve ne fosse un’altro più comodo e più sicuro la selezione naturale l’avrebbe senz’altro adottato sostituendolo agli altri.

Pertanto le mamme e i loro figli alle spalle hanno già almeno 100.000 anni di esperienza e quello che devono fare è ampiamente programmato e sperimentato; non c’è quasi nulla da inventare !

E’ però utile sapere che la nostra specie non possiede le caratteristiche migliori per nascere; il nostro cervello infatti si è troppo sviluppato (ma spero che nessuno sia dispiaciuto per questo) e la sua dimensione, soprattutto quella dei lobi frontali, ci obbliga ad avere una fronte molto alta e poco comoda per nascere. Le scimmie, che sono gli animali più vicini a noi nella scala evolutiva, hanno infatti la fronte molto più sfuggente e comoda per passare dal canale del parto.

Anche il bacino delle nostre mamme non è molto comodo per partorire, ma la natura ha dovuto trovare un compromesso per una costituzione ossea con due funzioni contrapposte: la procreazione e la deambulazione su due zampe (ma se volete partorire bene ricordatevi che per questa attività sarebbe stato meglio rimanere a quattro zampe).

Per questi (ed altri) motivi, nella nostra specie la gravidanza non può durare più di nove mesi: oltre a questa data i neonati sarebbero troppo grossi per poter nascere. Però i nostri figli, dopo nove mesi di gestazione, non sono ancora pronti: o meglio, sono pronti per le funzioni che riguardano i polmoni e il cuore, ma non per le funzioni che riguardano il cervello. Quindi anche i neonati che nascono al termine di gravidanza sono da considerare prematuri relativamente al sistema nervoso.

Questa immaturità è dovuta alla grande complessità del nostro cervello che richiede ancora diversi mesi dopo la nascita per terminare la sua maturazione. Ciò significa che la gravidanza, nella nostra specie, non termina al momento del parto, ma prosegue per alcuni mesi fuori dall’organismo materno. Si rimane cioè nell’utero fin che è possibile e poi si continua a crescere e a maturare fuori dal corpo della mamma.

Da queste informazioni possiamo ricavare almeno due concetti importanti: il primo è che dopo la nascita dobbiamo continuare a ricevere nutrimento (invece del sangue dalla placenta, riceviamo il latte dalle mammelle), il secondo è che il nutrimento più importante dopo la nascita non è tanto quello che serve al nostro intestino, ma quello che serve al nostro cervello.

Il cibo per la mente non viene venduto in farmacia o al supermercato, ma è già in dotazione di ogni genitore e passa attraverso le carezze, il calore, gli sguardi, le parole, il gioco, le passeggiate…..  Il nutrimento che serve al cervello dei nostri neonati per maturare non costa niente, solo un po’ di tempo, e va fornito nel primo anno di vita.

Solo nella nostra specie i cuccioli hanno bisogno di tutto questo tempo per diventare grandi e per essere autonomi; solo nella nostra specie è necessaria una gravidanza così lunga da dover continuare anche dopo il parto.

La dimostrazione di quanto appena detto, ci viene dallo studio dei neonati che nascono con molto anticipo. I prematuri che nascono prima dei sei mesi di gravidanza, possiedono un cervello molto immaturo e la maturazione del loro sistema nervoso continua nelle settimane e nei mesi dopo la nascita come se il parto non fosse mai avvenuto, secondo lo stesso ritmo predeterminato presente anche nei neonati che nascono al nono mese; per i prematuri infatti si parla di età anagrafica (quella indicata dal calendario) e di età corretta (quella dello stadio maturativo del loro cervello). Quindi per un prematuro tutte le tappe di sviluppo mentale vanno calcolate utilizzando non la sua data di nascita, ma la data alla quale avrebbe dovuto nascere.

Nella nostra specie quindi il cervello deve crescere e maturare molto lentamente, con i tempi  necessari per condurci ad essere individui intelligenti e consapevoli; il parto, per un organismo complesso come il nostro, è dunque un momento necessario, ma purtroppo e per fortuna rappresenta solo una tappa che non esaurisce la nascita dei nostri cuccioli.


Perchè il contatto pelle-pelle ?

Pelle pelle articoli di VocidiBimbi.itPerchè  il  contatto  pelle-pelle ?

Qualcuno potrebbe, giustamente, domandarsi da dove nasce questa moda del contatto pelle-pelle tra il neonato e la mamma. Perché non è sufficiente che la mamma prenda in braccio il suo bambino lavato, pulito e vestito ? La risposta è da cercare nella magia e nel mistero dei primi minuti di vita. Subito dopo la nascita il bambino inizia a sedurre la mamma e la mamma inizia ad innamorarsi del suo bambino, non il bambino immaginato durante la gravidanza, ma quello reale che vede per la prima volta, che annusa e che tocca per la prima volta.

Prendere in braccio un bambino pulito, profumato e vestito è un po’ come prendere in braccio un bambolotto o un bambino qualunque. Il neonato non ancora lavato, nel contatto pelle-pelle con la mamma, innesca una relazione potente e intima che permette ad entrambi di sentire l’odore e il calore l’uno dell’altro.

La madre, senza esserne consapevole, deve elaborare il lutto di trovarsi improvvisamente con la pancia vuota, il neonato deve ritrovare l’utero che l’ha nutrito e protetto fino a quel momento.

Durante i mesi della gravidanza la donna, sentendo i movimenti del bambino, lo percepisce come una parte di sé; dopo il parto deve cominciare ad accettarlo come una persona separata da lei.

E’ probabile che la percezione che la madre ha del suo bambino nei primi minuti di vita possa condizionare il loro rapporto per gli anni successivi o addirittura per tutta la vita; effettivamente molte donne già anziane ricordano e raccontano il loro parto come se fosse avvenuto da poche ore. La nascita è qualcosa che forse accade troppo velocemente, occorre pertanto nei minuti successivi tentare di riappropriarsi del tempo e il contatto pelle-pelle recupera un ritmo più giusto; dopo la tempesta un po’ di calma, così mamma e neonato possono cominciare a ragionare…

Cercando di vedere il parto con gli occhi del neonato è intuitivo che dopo l’avvio della respirazione autonoma egli cerchi di ritornare allo stato rassicurante precedente la nascita, ricerca cioè quello che è stato  definito “l’abbraccio pulsante” dell’utero; il contatto pelle-pelle è un mezzo privilegiato che gli permette di ritrovare quell’abbraccio perso improvvisamente.

Dopo la nascita il neonato è sconvolto dal freddo, dalla luce e dai rumori, ma in particolare dal vuoto; avendo vissuto in acqua fino a quel momento sperimenta per la prima volta la forza di gravità ed è terrorizzato dalla sensazione di precipitare; la pancia calda della mamma è il suo nido naturale, è lo spazio che lui stesso ha lasciato libero e che ora può a buon diritto rioccupare.

E’ stato dimostrato che se nella prima ora dopo il parto il neonato viene tenuto a contatto pelle-pelle con la sua mamma la conoscenza di entrambi sarà facilitata, la mamma sarà tanto gratificata da sentire meno la stanchezza e il dolore, il neonato sarà tanto tranquillo da aprire gli occhi e cercare il seno. Tutto quello che avverrà nei giorni e nelle settimane successive potrà essere un po’ più semplice e naturale, un passaggio tra l’utero e il mondo meno violento e complicato.

Ad eccezione del neonato e della sua mamma nessun altro adulto è in grado di partecipare fisicamente ed emotivamente alla relazione che si crea col contatto pelle-pelle, e chi ha il compito di fornire assistenza durante il parto dovrebbe fare attenzione a non ostacolare questa relazione.  L’ inizio del dialogo tra il neonato e la mamma dovrebbe avvenire come se in quel momento al mondo ci fossero soltanto loro, o come se in quel momento loro fossero il mondo.


Bonding

Bonding articoli di VocidiBimbi.itBonding

Come molte parole della lingua inglese, anche questa ha il dono della sintesi. In una parolina così breve sono racchiusi significati molto importanti per ogni adulto che diventa genitore e per ogni neonato che viene al mondo. E’ un termine moderno, ma il suo significato ha già alcune migliaia di anni di evoluzione; senza il bonding forse la razza umana non sarebbe stata possibile. Nonostante ciò pochissimi lo conoscono; anche tra coloro che per professione contribuiscono a far nascere bambini, questa parola è poco nota o non viene considerata indispensabile per il loro lavoro.

  Dicevamo che è una parola moderna, ma ha già compiuto vent’anni (anche se pochi se ne sono accorti): è nata negli Stati Uniti nel 1982. In inglese bond significa attaccare, vincolare, incollare, cementare; il bonding è il processo di formazione del legame tra i genitori e il loro bambino. E’ questo legame profondo, specifico, permanente (fisico e psicologico insieme), che permette di allattare, di cullare, di giocare col proprio bambino, ma anche di proteggerlo, di non trascurarlo, di non abbandonarlo.

Il bonding permette di far emergere nei genitori istinti nascosti utilizzando il loro “periodo sensibile”; viene così favorita una grande sensibilità comunicativa che produce efficaci risposte alle diverse necessità del bambino.

Gli effetti a breve e a lungo termine di un bonding adeguato sono stati studiati da diversi gruppi di ricerca che hanno misurato la qualità del rapporto mamma-bambino nei primi mesi dopo la nascita e hanno valutato, nell’età successiva, le caratteristiche comportamentali e relazionali di quei bambini.

Come tutti i processi umani, anche il bonding è un processo complesso e articolato, ricco di variabili (condizionato dall’ambiente, dalle caratteristiche dei genitori, dal tipo di parto, dallo stato di salute della mamma o del bambino, ecc.). E’ stato però ampiamente dimostrato come sia possibile favorire il bonding e come invece ostacolarlo o renderlo più difficile.

Il mezzo più semplice ed efficace per creare un legame stabile e positivo tra i genitori e il bambino è risultato quello di mettere il neonato nelle braccia della mamma in contatto pelle-pelle nelle due ore successive al parto, senza attuare nessuna separazione se il loro stato di salute lo permette.

E’ stato infatti scoperto che il neonato, nei primi 60-90 minuti dopo la nascita, si trova nello stato di veglia tranquilla nel quale può aprire gli occhi, guardare (e conoscere) i genitori, ascoltare la loro voce, cercare (da solo) il seno della mamma, sentirsi rassicurato da quell’abbraccio che simula quello noto dell’utero. In questa fase il neonato è molto attento e riesce a percepire ciò che lo circonda; è in questo momento che ha il suo primo contatto col mondo (e spesso la prima impressione è quella che conta…); bisognerebbe evitare che queste prime percezioni avvenissero attraverso persone estranee, in luoghi diversi dal corpo della mamma (dalla sua voce e dal suo odore).

Dopo circa due ore dal parto il neonato passa in uno stadio di sonnolenza o di vero e proprio sonno, recupera le forze e la sua percezione del mondo si riduce fin quasi ad annullarsi: questo è il momento per portarlo al nido e sottoporlo alle routine assistenziali senza temere di disturbarlo (ormai il miracolo del bonding è iniziato e nulla può fermarlo).

Le ricerche sugli stadi comportamentali del neonato hanno scoperto che nella prima settimana di vita la fase di veglia tranquilla è molto breve, circa due ore al giorno, pertanto perdere questo momento privilegiato subito dopo il parto, significa rimandare di almeno ventiquattro ore la possibilità di far conoscere al neonato noi stessi e il mondo.

In queste prime due ore i genitori sono nel loro “periodo sensibile” e senza esserne completamente consapevoli fanno conoscenza col loro bambino reale, dimenticando quello immaginato e forse anche temuto. Rimandare questo momento significa lasciare i genitori emotivamente sospesi, rischiando di produrre in loro insicurezze e paure inconscie (lo sanno bene i genitori dei bambini prematuri, che devono essere separati dai propri figli in maniera improvvisa subito dopo il parto).

La sicurezza, la fiducia, la soddisfazione e la felicità che riesce a crearsi nelle prime ore dopo la nascita diventano la base per il rapporto tra i genitori e il bambino per gli anni a venire; quella manciata di minuti contiene un grande valore e gli errori che possiamo fare in quei minuti potrebbero richiedere anni per essere corretti.

Ricordiamoci che per il papà il “suo parto” avviene quando può (finalmente) avere il figlio in braccio, vederlo negli occhi e convincersi di essere a sua volta visto e (ri)conosciuto. Subito dopo il parto deve uscire la placenta e a volte occorre dare qualche punto di sutura alla mamma, tutti sono ancora indaffarati, soltanto il neonato e il papà sono liberi da impegni: perché non sfruttare la situazione per fare conoscenza ?…

E’ stato dimostrato che l’unica necessità dei neonati sani nei primi minuti è di essere asciugati e avvolti in un telino tiepido, ogni altra routine oltre a non essere utile è di ostacolo al bonding e pertanto dovrebbe essere rimandata.

E’ stato anche dimostrato che lasciando in intimità genitori e bambino, quest’ultimo smette di piangere a pochi secondi dalla nascita e si tranquillizza con grande velocità, viceversa i neonati separati dalla mamma subito dopo il parto piangono più a lungo e si tranquillizzano con difficoltà.

Allora potremmo chiederci: perché mai dovremmo essere una civiltà che fa piangere i bambini fin dal momento del loro arrivo ? Ricerche svolte negli ultimi anni hanno evidenziato che favorire il bonding fin dai primi momenti dopo il parto permette un migliore avvio dell’allattamento al seno, riduce il rischio di depressione materna, aumenta la fiducia in se stesso del bambino e lo rende, in seguito, più aperto alla relazione con gli altri.

Se abbiamo scoperto che la parola bonding è tanto importante e tanto ricca di significati, potremmo cominciare a considerarla come facciamo con la parola respirazione o la parola alimentazione e chiederci ogni tanto: come va oggi il bonding di questo bambino ?


Gli ormoni delle mamme

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Dopo il parto si dice che la donna “ha gli ormoni”. Di solito questa frase non viene usata come complimento e generalmente si fa intendere che nel cervello delle puerpere si producono sostanze che giustificano “strani comportamenti”. Oggi però la scienza ha individuato con precisione quali sono questi ormoni e quali effetti producono nel nostro organismo. Conoscendo meglio alcuni degli “ormoni delle mamme” forse possiamo capire qualcosa di più del parto e della nascita e probabilmente avremo qualche sorpresa.

Prolattina

E’ prodotta da una ghiandola del cervello chiamata ipofisi; la sua funzione principale è di comandare alla mammella la produzione del latte. La sua attivazione è provocata dalla suzione del capezzolo, ma per alcune mamme è sufficiente lo stimolo uditivo del pianto del bambino. Chi allatta deve sapere che la prolattina (in tutti i mammiferi) è prodotta in maggior quantità durante le ore notturne, quando probabilmente l’ambiente diventa più rilassante e sicuro.
E’ un ormone antico e diffuso in natura; è presente anche nei pesci, negli anfibi e negli uccelli.

E’ prodotta sia nel maschio che nella femmina. Nei maschi (che notoriamente non allattano) la prolattina è prodotta nelle situazioni di allevamento e accudimento della prole, sia nell’uomo come nei topi. In particolare la prolattina è stata misurata ad alte concentrazioni negli animali che si trovavano a dover difendere i piccoli da un pericolo imminente.

E’ ormai dimostrato che oltre a stimolare l’attività della ghiandola mammaria, la prolattina è responsabile dei comportamenti di nidificazione e accudimento dei cuccioli.
Attenzione: riduce il desiderio sessuale.

Ossitocina
L’ossitocina viene prodotta dal cervello, ma anche dalle ovaie e dai testicoli. A differenza della prolattina questo ormone è presente solo nei mammiferi

Durante il travaglio produce le contrazioni dell’utero, ma dopo il parto cambia funzione e serve per stimolare l’eiezione del latte dalla mammella. La sua produzione è molto elevata nell’ora successiva al parto, soprattutto se il neonato inizia presto a succhiare il capezzolo; in questa prima fase serve per provocare la contrazione dell’utero e scongiurare così il rischio di emorragia dopo il distacco della placenta.

L’ossitocina però non è presente soltanto durante il parto e l’allattamento, la ritroviamo infatti anche durante l’attività sessuale come responsabile dell’orgasmo. Produce effetti eccitanti e di piacere, riduce le inibizioni. Induce comportamenti altruistici e di oblio di se stessi. Attenzione: l’ossitocina non può venire prodotta nelle situazioni di stress e di tensione…

Progesterone

E’ l’ormone prodotto dalla placenta per tutta la durata della gravidanza e permette all’organismo materno di accettare il nuovo “intruso”. Quando è arrivato il  momento di nascere è proprio il cervello del neonato che, attraverso altri ormoni, invia alla placenta il comando di ridurre la produzione di progesterone per dare avvio al travaglio.

Adrenalina 

E’ una sostanza prodotta in tutte le situazioni di pericolo per rendere l’organismo più attento e pronto. Produce maggiore attività del cuore e migliore ossigenazione a tutti i tessuti dell’organismo, cervello compreso; permette l’utilizzo di grandi riserve energetiche per far fronte ai momenti di difficoltà. Questa eccitazione, tipica dei grandi eventi, può essere visibile nel viso e negli occhi dei nostri neonati subito dopo il parto.

Endorfine

Proteggono dal dolore e sono ancora più potenti della morfina. Permettono anche di non ricordare (fisicamente) l’esperienza dolorosa e possono provocare una sensazione di benessere ed euforia. Durante le fasi più difficili del travaglio e del parto sono secrete in grande quantità sia dalla mamma che dal neonato. Essendo sostanze simili ad una droga potrebbero essere responsabili del particolare legame di dipendenza reciproca che si crea tra la mamma e il suo bambino subito dopo il parto.

Queste sostanze sono prodotte sia dalla mamma che dal bambino e rappresentano un sistema biologico di comunicazione molto forte che vede il loro cervello come organo principale. E’ inevitabile, ma anche affascinante e misterioso, che il comportamento delle mamme e dei loro bambini venga modificato da queste sostanze. Allora il problema forse non è che le mamme dopo il parto “poverine hanno gli ormoni”, ma che tutti gli altri “poverini” questi ormoni non li hanno.


Partorire scalando il Monte Bianco



Partorire scalando il Monte Bianco articoli di VocidiBimbi.itPartorire scalando il Monte Bianco

Ogni donna che mette al mondo un bambino dovrebbe essere considerata un’esperta alpinista, in grado di scalare il Monte Bianco, poiché le due attività non sono poi così diverse…. Entrambe le imprese infatti richiedono una buona preparazione e una forte motivazione. La mamma/alpinista normalmente è consapevole di compiere qualcosa di grande e non sembra particolarmente spaventata né dalla fatica che la attende né dai rischi cui va incontro.

In realtà un po’ di paura e di timore sono presenti. I rischi infatti sono reali e nessuno può garantire a priori il buon esito dell’impresa. La mamma/alpinista, però, sa anche di non essere la prima che tenta questa ‘scalata’ e conosce molte altre mamme che hanno raggiunto con successo e felicemente la loro vetta.

Quando si scala una montagna difficile è utile avere un po’ di paura. Senza il timore di cadere si rischierebbero comportamenti poco prudenti e mancherebbe la necessaria concentrazione. Se la paura non è eccessiva, ma ben dosata, è possibile attivare energie che in condizioni di rilassatezza rimarrebbero nascoste o limitate. Nel parto la mamma riesce a tirar fuori delle capacità che non sapeva di possedere e nei ‘passaggi’ più difficili e pericolosi trova sempre il modo di procedere verso la ‘cima’.

Ogni impresa richiede una lunga preparazione, con mesi di allenamento sia sul fisico che sulla mente. La mamma/alpinista cerca tutte le notizie disponibili per conoscere in anticipo le difficoltà e prepararsi anche agli eventuali imprevisti. Legge libri e parla con chi è già salito sulla montagna; chiede informazioni agli esperti in merito alle tecniche migliori e alle attrezzature da procurarsi (a questo punto bisogna ammettere che la lista del corredino mal si presta ad analogie con il materiale da alpinismo….).

Molte mamme/alpiniste si preparano alla scalata partecipando a corsi appositi (tenuti in questo caso dall’AUSL, anziché dal CAI). Una guida/ostetrica cura la preparazione fisica e psicologica delle mamme, preoccupandosi anche degli aspetti nutrizionali e degli stili di vita migliori per garantire il successo dell’impresa (fare movimento, evitare il fumo, limitare le fatiche inutili….).

Durante il corso la mamma/alpinista può confrontarsi con altre allieve e darsi coraggio; inoltre sviluppa quello spirito di affiatamento con altri alpinisti che in montagna è sempre molto prezioso.

Per arrivare adeguatamente preparati alla scalata occorre curare molto bene l’allenamento: ginnastica, stretching, nuoto, danza; ma alle alte quote è molto importante anche la respirazione.

Lentamente si impara a portare uno zaino che può superare anche i venti chili (stranamente lo si porta davanti, anche se ogni alpinista giurerebbe che è molto più comodo portato dietro…).

Non lo abbiamo ancora detto, ma normalmente non si arrampica da soli; generalmente si procede in cordata. La mamma/alpinista è solita compiere la sua scalata in compagnia del marito. Purtroppo l’ostetrica, che conosce bene la via di salita, non può salire con loro, ma può guidare da lontano, dando coraggio e fornendo preziosi consigli per evitare i maggiori pericoli.

Il futuro papà, anche se è un maschio muscoloso, non può avere un ruolo da capocordata. Per questo tipo di scalata la natura (o direttamente chi le montagne le ha create) ha deciso che il primo di cordata deve essere la mamma/alpinista.

Come in ogni vera impresa alpinistica, la scelta del capocordata viene fatta valutando attentamente tutte le variabili, allo scopo di scegliere il più adatto affinché l’impresa abbia buon esito. In questo caso la mascolinità risulta una qualità alquanto scadente e priva di garanzie, mentre la femminilità si dimostra maggiormente adatta allo sforzo, soprattutto nelle situazioni che richiedono grande resistenza.

Rispetto al compagno la mamma/alpinista mostra anche grande capacità di adattamento, qualità molto preziosa se consideriamo le condizioni di alta variabilità presenti su una grande montagna. Ciononostante, sapere di avere all’altro capo della corda un compagno forte e preparato, deciso a fare ‘sicurezza’ qualunque cosa succeda, rappresenta per la mamma/alpinista motivo di tranquillità e di fiducia verso il buon esito dell’impresa.

La condivisione di una scalata impegnativa rinsalda l’amicizia dei compagni di cordata e rappresenta un momento forte in grado di durare nel tempo.

Una volta superate tutte le difficoltà e i pericoli, dopo aver utilizzato tutta l’energia disponibile, quando si ha l’impressione di non farcela più: ecco la vetta ! La discesa poi è bellissima e davvero speciale: infatti questa è l’unica scalata dove si sale in due e si scende in tre…

PS: l’autore di questo articolo ha scalato il Monte Bianco come capocordata nell’ormai lontano 1980; qualche anno dopo, in occasione della nascita dei suoi tre figli, si è limitato a fare ‘sicurezza’ a sua moglie….


Rooming-in

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Rooming-in

Quando è cominciato il rooming-in e chi lo ha inventato ? La prima domanda ha una risposta facilissima: il rooming-in è nato circa 100000 anni fa durante il pleistocene.

In quegli anni si partoriva nelle caverne, con poca igiene e molta scomodità; la mamma scaldava il neonato e lo nutriva per 4-5 anni col proprio latte.

Successivamente ci è stato tramandato un altro rooming-in che era programmato in una locanda, ma per problemi tecnici è poi avvenuto in una mangiatoia; come oggi anche in quell’occasione l’arrivo di visitatori (i pastori), ha impedito di mantenere nella stanza la tranquillità e la privacy necessarie dopo un parto.

Nei secoli successivi si è continuato a partorire in ogni luogo, ma la mamma e il bambino rimanevano insieme per tutto il puerperio.

E’ stato solo negli ultimi cinquant’anni che, spostando il parto in ospedale, si è cominciato a pensare che la mamma e il bambino potevano essere separati. Nella visione scientifica della nostra medicina moderna la mamma che ha partorito ha necessità assistenziali specifiche e il suo bambino deve essere accudito da personale specializzato.

Effettivamente questo modo di procedere ha permesso di ridurre enormemente l’alta mortalità della mamma e del neonato; solo all’inizio del ‘900 morivano nel mondo occidentale circa il 18% dei bambini nel primo anno di vita, oggi ne muore meno dello 0.5%.

Questo eccezionale risultato è stato possibile per l’uso degli antibiotici, per il monitoraggio della sofferenza fetale e per la possibilità di nascere per via chirurgica. Nella riduzione della mortalità materna e neonatale non ha invece contribuito la separazione del neonato dalla sua mamma.

Veniamo a questo punto alla risposta alla seconda domanda: chi ha inventato il rooming-in moderno?

Un neonatologo francese, Pierre Budin, nel 1907 scrisse un lavoro nel quale osservava che “le madri separate precocemente dai loro bambini perdevano interesse per coloro che sono state incapaci di curare e nutrire”. Durante la seconda guerra mondiale, a causa della carenza di personale, in alcuni ospedali si iniziò a tenere i neonati in camera con la mamma allo scopo di farli accudire e alimentare da lei; ci si accorse che in questo modo la mortalità per infezione calava sensibilmente.

E’ stato però solo dopo gli anni ’70 che gli studi di psicologia neonatale hanno messo in evidenza quanto fosse importante per il benessere del neonato rimanere vicino alla madre. In particolare gli studi di Bowlby e poi quelli di Winnicott e Brazelton, hanno permesso di dimostrare che il rooming-in era la strada maestra per ottenere un efficace attaccamento madre-bambino. I vantaggi riguardavano anche la capacità di allattare e di accudire il bambino; a distanza di mesi chi aveva potuto seguire un regime di degenza assieme al bambino mostrava significativi benefici nella relazione col figlio.

Lentamente si è iniziato a capire che il neonato sano non aveva bisogno di personale specializzato che lo accudisse al posto della mamma; l’azione dell’esperto doveva invece aiutare la madre a sviluppare e a far emergere innate e istintive competenze.

In futuro verrà chiesto sempre più di inventare strutture e schemi organizzativi che favoriscano il legame mamma-bambino. Per evitare di dover portare a domicilio l’ospedale occorrerà impegnarsi per portare un po’ di casa in ospedale; il rooming-in andrebbe considerato come la fase iniziale di questo ovvio e apparentemente banale tentativo.

(*) Significa “dentro la stanza” e si riferisce alla pratica ospedaliera di tenere il neonato in camera con la propria
mamma, anzichè al nido.


Dossier riservato

Dossier riservato articoli di VocidiBimbi.it

Dossier Riservato

Questo documento è riservato a coloro che diventano papà per la prima volta. La sua segretezza è indispensabile per evitare che altre frange della società ostacolino il nostro tentativo di inventarci un ruolo di padre efficace e anche divertente.  In particolare le nonne e le vecchie zie, i capoufficio, alcuni professori, molti politici e l’intera burocrazia dello Stato non devono sapere quello che noi sappiamo; il contenuto del presente dossier potrà essere noto soltanto quando tutti gli iscritti alla setta dei neopadri avranno già consolidato felicemente la loro azione nei confronti del figlio e della moglie.

Durante tutta la gravidanza nostra moglie vive fisicamente nostro figlio e il suo corpo subisce cambiamenti sostanziali, per noi invece non cambia nulla e dobbiamo inventarci emozioni e sensazioni soltanto con la mente; a volte durante il lavoro quotidiano capita che ci dimentichiamo che siamo in attesa di un bambino.

E’ molto difficile sentirsi padre se ancora non si ha niente in mano; e poi noi siamo ancora figli dei nostri genitori. Nostra moglie non è più solo nostra moglie, è già madre, la madre di nostro figlio, ma non la nostra madre; che confusione !

Durante il parto scopriamo che nostra moglie che sembrava così “delicatina” è invece forte come un leone, infatti spinge come una belva; questa volta è proprio lei ad avere le palle. Fa impressione pensare che anche noi siamo nati così; partecipare alla nascita di nostro figlio è un po’ come rivivere la nostra nascita della quale purtroppo non riusciamo a ricordare nulla.

Quando il nostro bambino nasce è brutto e sporco, non sembra contento, anzi è veramente arrabbiato, però dopo pochi minuti come per miracolo si rilassa e improvvisamente sembra davvero soddisfatto, infatti apre gli occhi e ci guarda. Nessuno di noi potrà mai dimenticare quello sguardo che penetra nella nostra vita come un fulmine per rimanerci per sempre. In quel momento ci sembra di volare (non sentiamo neanche la fatica che abbiamo fatto…), in quello sguardo ci sembra quasi di vedere noi stessi.

Per noi guardare nostro figlio appena nato e farci vedere da lui (anche se ancora non vede non importa) vuol dire averlo partorito e fatto nascere a modo nostro, utilizzando la nostra mente e la nostra anima invece del corpo. Gli studiosi hanno scoperto che anche per noi esiste un momento in cui si realizza l’attaccamento al nostro bambino e quindi desideriamo stare in sala parto non solo per aiutare nostra moglie, ma anche per sostenere nostro figlio fin dall’inizio proteggendolo e incoraggiandolo in un momento così difficile.

Dopo il parto, quando siamo a casa, nostra moglie si sente un po’ felice e un po’ triste, ha anche un po’ di panico, si sente la pancia vuota e in braccio ha una cosina che quando non dorme sta sempre con la bocca aperta; anche noi abbiamo un po’ di paura e spesso non sappiamo cosa fare, però cerchiamo di nascondere la nostra insicurezza e di essere il più possibile utili a nostra moglie, soprattutto vogliamo che non si senta sola.

Vogliamo cambiare i pannolini, fare addormentare il bambino e portarlo a spasso non per fare i “mammi” imitando nostra moglie, ma soltanto per conoscere e farci conoscere da nostro figlio adesso che non è più nella pancia. In passato i padri si preoccupavano poco di accudire il loro bambino a causa di strani stereotipi culturali e sociali; ancora oggi alcune madri sono molto legate al figlio e hanno paura a lasciarlo anche per pochi minuti.

Anche i nonni spesso sono abituati a vedere i loro piccoli nipoti accuditi soltanto dalla mamma e giudicano noi padri moderni quantomeno delle persone strane che leggono troppi libri e non sanno stare al loro posto; per loro noi dovremmo stare tutto il giorno a lavorare per mantenere la famiglia che cresce, ma come si fa a stare al lavoro sapendo che a casa c’è lui o lei che comincia a dire “papapapapa…” e che tutti i giorni impara una cosa nuova !

Nei primi mesi dopo il parto nostra moglie si scorda di essere una moglie (è troppo concentrata e sorpresa di essere una mamma) e noi ci sentiamo molto gelosi e trascurati; possibile che non capisca che le tette non servono solo per allattare ? Ma se ci immedesimiamo in lei è facile capire che è opportuno aspettare e che fra un po’ ci inventeremo insieme un nuovo modo di essere un marito e una moglie che sono diventati anche papà e mamma.

Nei primi mesi ci inseriamo con discrezione in quella che gli esperti chiamano la “diade madre-figlio” e accettiamo volentieri che sia la mamma a condurre le danze; nel secondo semestre di vita invece nostro figlio incomincia a capire che il papà e la mamma sono due persone diverse e ogni tanto preferisce giocare col papà anziché stare sempre con la mamma; come genitori cominciamo a diventare complementari e il nostro bambino inizia a scoprire modi diversi di relazionare con gli altri. Qualcuno ci accusa di fare giochi troppo eccitanti che fanno agitare il bambino, in realtà studi specifici hanno scoperto che le mamme che lavorano molto, quando tornano a casa, anche loro preferiscono fare giochi molto stimolanti, chi invece passa molto tempo col bambino (maschio o femmina che sia) interagisce con lui in modo più sottile e modulato.

In conclusione, nella vita cosa c’è di più bello che tenere in braccio un “frugolino” tutto liscio e “morbidino” che ci guarda ridendo ? Forse di più bello ancora ci sarebbe soltanto essere il “frugolino”.


E’ possibile viziare un neonato ?

Viziare un neonato articoli di VocidiBimbi.it

E’ possibile viziare un neonato ?

Per molte nonne è una domanda retorica, e la risposta é : si !

Curiosamente però, fin che il bambino è piccolo, sono le nonne a criticare le mamme troppo premurose, quando il bambino cresce invece sono le mamme a lamentarsi delle nonne dalla caramella facile. Il problema del vizio nasce generalmente quando, già a pochi giorni di vita, il piccolo esprime tutto il suo disappunto e bisogna decidere se prenderlo in braccio o lasciarlo urlare. Il genitore che non riesce a resistere decide per la prima soluzione; appena il piccolo si zittisce il primo pensiero sarà: ecco, si è già abituato !

Per fare un po’ di chiarezza dobbiamo però distinguere tra vizio e cattiva abitudine; il vizio si riferisce a qualcosa che desideriamo, ma che è dannoso alla nostra salute (ad esempio il fumo, la cioccolata, il gioco d’azzardo, ecc.), mentre una cattiva abitudine non arriva ad essere tanto dannosa e soprattutto non darà dipendenza.

Diciamo subito che, a differenza dell’adulto, un neonato non può desiderare qualcosa che sia dannoso per la sua salute, perché la sua esistenza è ancora regolata dall’istinto. Come ogni altro mammifero, anche i piccoli d’uomo possono desiderare solo quello di cui hanno bisogno; desiderano mangiare solo quando hanno fame e non quando passano davanti alla vetrina di una pasticceria, desiderano uscire a passeggio quando sono stanchi di guardare il soffitto bianco e non quando l’orologio dei genitori segna le quattro di sabato pomeriggio.

Proprio perché è ancora regolato dall’istinto il nostro esigente cucciolo non può essere capace di vedere il mondo con gli occhi dei suoi genitori e pertanto non è ancora in grado di capire quando è opportuno fare determinate richieste; lui urla, qualcuno ascolterà e prima o poi arriverà.

In passato si riteneva che un lattante non avesse competenze e pertanto non sapesse cosa voleva, mentre gli adulti, istruiti dagli esperti, sapevano esattamente cosa era meglio per lui: l’orario dei pasti, la quantità del latte, gli orari e i tempi di passeggiata, le ore e i minuti di sonno, i tempi e le modalità dei giochi, …

Dagli anni ’60 in avanti si è scoperto che fin dai primi giorni ogni neonato, pur essendo incapace di procurarsi il cibo in maniera autonoma, sa già esattamente cosa gli serve per sopravvivere e per essere felice: i suoi bisogni e i suoi desideri coincidono. Lentamente abbiamo capito che se “chiediamo”  a lui cosa gli serve è impossibile fare errori; decidere la suo posto diventa invece veramente difficile.

Attenti psicologi, come Piaget, hanno capito che i lattanti nei primi mesi di vita non sono in grado di capire se stessi separati dal mondo esterno; loro e il mondo sono la stessa cosa, il loro corpo e quello della mamma è percepito come un’unica entità. Nei primi mesi il neonato è incapace di pensare il tempo, il prima e il dopo, non sa distinguere tra i mezzi e i fini e capire che esistono rapporti di causa -effetto; riesce a vivere soltanto il qui-adesso. Quando un neonato presenta un bisogno, sia fisico che mentale, il suo cervello mette in atto una serie di azioni finalizzate a chiamare un adulto che lo possa aiutare a soddisfare il suo problema e a mantenere un equilibrio psico-fisico di benessere. Noi dunque siamo la sua estensione nel mondo, e siamo lì per aiutarlo a vivere ed essere felice.

Dovremmo ricordarci che un neonato biologicamente nasce quando il suo organismo è in grado di vivere autonomamente fuori dall’utero della sua mamma, ma in realtà non è ancora nato: nascerà veramente al mondo quando sarà consapevole di essere al mondo. Fino a quel giorno, quando vorrà essere abbracciato, sarà obbligato a piangere per essere sicuro di averci distratto dalle nostre occupazioni.

Se essere tenuti in braccio e cullati è da considerare un vizio o una cattiva abitudine, evidentemente abbiamo fatto troppa confusione e dimostriamo di avere anche noi bisogno di essere presi un po’ in braccio da qualcuno e di recuperare la serenità e la dolcezza che hanno i nostri neonati quando sono finalmente abbracciati.


Sapevate che…

Sapevate che ? articoli di VocidiBimbi.it

Sapevate che…

La femmina di orso nero americano si accoppia d’estate, ma i suoi ovuli fecondati non si impiantano e rimangono in uno stato sospeso. Durante l’inverno si ritira nella tana e va in letargo; se ha accumulato abbastanza grasso per la lattazione gli ovuli si impiantano, altrimenti l’impianto non si produce e il concepimento viene sospeso in attesa di tempi migliori.

I canguri mettono al mondo figli grandi come l’unghia del pollice, quasi dei feti che si sviluppano fuori dal grembo materno. Il cangurino rinchiuso nella sacca ventrale è nutrito da un capezzolo che produce un latte di crescita con pochi grassi e molte proteine, mentre un altro capezzolo più laterale e più lungo produce un latte più sportivo ricco di carboidrati: è destinato al cangurino più grande che salta vicino alla mamma e che ogni tanto le si avvicina per alimentarsi. Quando uno dei due cangurini smette di poppare, calano i livelli di prolattina e il blastocina che si trovava in attesa può iniziare a svilupparsi.

Le foche dal cappuccio, sebbene piuttosto grandi, hanno il periodo di lattazione più breve che si conosca: circa una settimana. La madre accumula il grasso in anticipo, partorisce su banchi di ghiaccio galleggianti e nutre i piccoli con panna: un latte con circa il 60% di grassi. Il piccolo aumenterà di circa 25 chili in pochi giorni; quando il banco di ghiaccio si spezzerà, il cucciolo potrà andare alla deriva e ritrovarsi così improvvisamente svezzato in un mondo gelido dove soltanto i più cicciottelli sopravvivranno.

Alcuni animali, come i lupi, partoriscono cuccioli particolarmente immaturi che vengono tenuti al caldo della tana per parecchio tempo dopo il parto; il latte di queste madri è per questo motivo particolarmente ricco di proteine. I bovini, che partoriscono cuccioli capaci di mettersi in piedi a poche ore dal parto, producono invece un latte povero di proteine e molto ricco di zuccheri.

Tra i piccioni, le tortore e i fenicotteri la prolattina stimola sia nelle femmine che nei maschi il cosiddetto “latte di gozzo”, un cibo parzialmente digerito misto a muco che prodotto dai tessuti della gola viene rigurgitato nella bocca del piccolo. E’ questo uno dei pochi casi in natura di ruolo parentale completamente unisex.

La madre ornitorinco è priva di capezzoli , ma riesce ugualmente ad allattare i suoi piccoli: il latte le sgocciola dal pelo da apposite ghiandole del petto. Secondo gli evoluzionisti questo tipo di nutrimento dei piccoli rende plausibile l’idea di uno sviluppo casuale della lattazione.

Subito dopo il parto le pecore sono fortemente attratte dall’odore della pellicola viscida che ricopre l’agnello e nel leccarla imparano a riconoscere l’odore del figlio. Per indurre la madre di un agnello nato morto ad allattarne uno non suo, gli allevatori ungono quest’ultimo con il liquido amniotico dell’agnello deceduto; leccandolo la pecora diventa disposta ad allattare il piccolo e quindi ad adottarlo.

Il topo subito dopo il parto si ciba della placenta al fine di fare un ultima scorpacciata di estrogeni e progesterone; tali ormoni dispongono la madre alla cura e al legame con i piccoli, il resto lo faranno gli ormoni della lattazione: prolattina ed ossitocina.

I papà scimmie che vivono in libertà dedicano solo il 5 % del loro tempo a giocare con i piccoli, ma quando sono tenuti in cattività (dove non devono preoccuparsi di difendere la loro famiglia dagli attacchi dei predatori) il tempo passato con i piccoli aumenta fino al 50%.

Nel mondo animale soltanto tra gli uomini, gli elefanti e le balene le femmine dopo il periodo riproduttivo continuano a vivere per lungo tempo tra le figlie e i nipoti contribuendo alle cure dei piccoli; sembra pertanto che le nonne siano un bene molto raro e prezioso.

(Parte delle informazioni contenute nel presente articolo sono tratte dal bel libro della Hrdy   “Istinto materno” – 2001)