Per favore, non toccare!
Se mi concentro per ricordare la frase ricorrente della mia infanzia, senz’altro risento un energico e deciso ‘non toccare!’: sicuramente detto a fin di bene per evitare danni a me stesso e alle cose (e l’aneddotica famigliare abbonda delle mie azioni rovinose).
Ma dopo quasi mezzo secolo, oggi come allora, alla frase citata segue nella mia mente la domanda ‘perché?’. Un po’ è inevitabile che un genitore sia avaro di motivazioni (‘quello che ti dico è giusto ed è per il tuo bene’) però qualche spiegazione ulteriore forse mi avrebbe aiutato – ed educato – ad agire con maggiore consapevolezza, permettendomi di regolare il comportamento in maniera più autonoma anziché seguire i comandi e i desideri della mamma.
In realtà una domanda molto interessante che qualcuno avrebbe potuto pormi sarebbe stata: ‘ma perché tocchi tutto?’. Avrei così potuto rispondere che avevo bisogno di manipolare per verificare forme e consistenza; avrei aggiunto che, limitandomi a guardare, non avrei potuto sapere cosa succede ad un oggetto messo in movimento dalle mie mani. Attraverso questa domanda forse avrei iniziato a riflettere che non è poi necessario toccare tutto, che qualcosa può anche essere soltanto osservato e che gli oggetti non esistono solo per me e per le mie mani.
Oggi sappiamo molto bene che fin dalla prima infanzia la manipolazione autonoma e creativa degli oggetti, e della realtà fisica in generale, rappresenta un’esperienza essenziale per lo sviluppo della mente. Il cervello infatti si sviluppa a seguito degli stimoli che riceve nel corso delle prime esperienze ed è lo stimolo prodotto dall’esperienza a creare effetti sull’espressione del potenziale genetico. In questo senso l’ambiente diventa più importante della genetica, l’esperienza più del temperamento e delle caratteristiche innate.
Il primo segno di un’evoluta capacità cognitiva lo troviamo nella coordinazione tra visione e prensione, all’incirca a metà del primo anno di vita. In seguito il bambino impara ad agire sulla realtà che lo circonda lanciando gli oggetti e producendo suoni attraverso la loro manipolazione. Il piacere di lanciare e farsi riportare un giocattolo in modo ripetuto e senza mai annoiarsi dimostra quanto sia importante per un lattante questo tipo di attività.
Quando il bambino manipola un oggetto ne costruisce automaticamente un’immagine mentale: forma, colore, consistenza, prospettive, rimangono impresse nel suo cervello per sempre e vanno a costituire un database ricco e variegato dove tutti gli oggetto esplorati vengono classificati e collegati tra loro. Inizia così nel primo anno di vita un sapere fondamentale che indirizzerà il successivo sviluppo neurologico e che sarà la base per ogni altra conoscenza.
Il saper fare precede il sapere astratto, come quello verbale e simbolico. Soltanto dopo aver a lungo manipolato la palla il bambino riesce a possederla nella mente sotto forma di immagine mentale; a seguito di questa conoscenza tattile e concreta si svilupperà la conoscenza astratta e sarà possibile attribuirle un nome; così, richiamando il nome, comparirà l’immagine mentale della palla anche in sua assenza.
Toccare serve dunque anche per imparare a parlare e questa esperienza concreta si dimostra necessaria per sviluppare il pensiero e le altre attività cognitive.
Ma quali sono gli oggetti che permettono ad un bambino piccolo le esperienza migliori?
La risposta la può dare soltanto il bambino stesso attraverso il suo comportamento. A questo proposito ricordo uno dei miei figli di pochi mesi manipolare e addirittura parlottare con un voluminoso fiocco rosso residuo di un pacco natalizio. Ma ricordo anche il mio stesso interesse (documentato da una vecchia foto in bianco e nero scattatami all’età di tre anni) per un normalissimo ma misterioso cavatappi. Credo che alla fine il best-seller manipolatorio per ogni gattonatore che si rispetti sia rappresentato dal primo cassetto della cucina (quello più facilmente raggiungibile e adeguatamente controllato dai genitori): vi si potranno trovare cucchiai di legno o di plastica (meglio se colorati), stampini per i biscotti, spatole arrotondate, sottopentola artistici, strofinacci e presine (molto buone quelle della nonna fatte all’uncinetto), vecchi rocchetti oppure quei grossi ganci adesivi di plastica un po’ kitsch ma interessanti,… tutto comunque senza marchio o etichette certificate, e la palestrina progettata per i nuovi Einstein regalataci dai parenti durerà pochi giorni, molto presto il bambino si stancherà dei soliti oggetti che lo guardano muti e distratti.
Ricordiamo inoltre che immagini che non possono essere manipolate o che non possono essere esplorate con tempi e modi controllati dal bambino, risultano inevitabilmente incomprensibili e confondenti e rappresentano quindi un’esperienza destabilizzante e negativa. Immagini di questo tipo sono quelle del video – TV e PC – che non dovrebbero essere utilizzate nei primi 2-3 anni di vita.
L’esperienza del bambino può anche essere favorita o promossa da un adulto, ma deve comunque essere un’esperienza attiva e individuale; per essere efficace deve essere guidata dal bambino stesso, deve cioè iniziare quando a lui la cosa interessa e deve svilupparsi in base alle sollecitazioni che la sua mente articola in quel determinato contesto; anche il termine dell’esperienza avverrà quando l’effetto prodotto avrà raggiunto il suo scopo e la sua pienezza. Questo per dire che l’interferenza dell’adulto è il più delle volte inopportuna e fuorviante, perché l’azione dell’adulto sarà inevitabilmente guidata da categorie mentali del tutto diverse. Il bambino vede cose che noi grandi non possiamo neppure immaginare; un oggetto per lui può avere significati immaginifici inaccessibili alle nostre categorie mentali, per lui davvero ‘l’essenziale è invisibile agli occhi’ (e la frase è in bocca ad un piccolo principe….).
Se l’azione del bambino sarà autonoma e libera da condizionamenti esterni, risulterà anche creativa ed efficace. Il genitore attento si preoccuperà di lasciar fare, di lasciare toccare, di lasciare leccare; per non interferire e per sorvegliare sulla sicurezza, si manterrà a distanza aspettando di essere coinvolto, se e quando necessario.
Tutto questo è un incredibile e favoloso ‘passo a due’ dove il protagonista è il bambino e l’assistente è l’adulto: come due ballerini, si avvicinano e si allontanano, si toccano e si lasciano, a volte piroettano insieme (il più piccolo in braccio al più grande), altre volte il grande si ferma ad osservare e il protagonista prende la scena riempiendo il palcoscenico con la propria vitalità e creatività.
Honegger Fresco ha osservato che dopo i progetti ‘Nati per leggere’ e ‘Nati per la musica’ (che si propongono di stimolare e promuovere la lettura precoce ad alta voce e l’ascolto/produzione di suoni fin dalla nascita), forse sarebbe opportuno lanciare un progetto ‘Nati per fare’, così da sensibilizzare i genitori dell’importanza che i bambini manipolino in maniera libera e creativa.