Sapevate che…
La femmina di orso nero americano si accoppia d’estate, ma i suoi ovuli fecondati non si impiantano e rimangono in uno stato sospeso. Durante l’inverno si ritira nella tana e va in letargo; se ha accumulato abbastanza grasso per la lattazione gli ovuli si impiantano, altrimenti l’impianto non si produce e il concepimento viene sospeso in attesa di tempi migliori.
I canguri mettono al mondo figli grandi come l’unghia del pollice, quasi dei feti che si sviluppano fuori dal grembo materno. Il cangurino rinchiuso nella sacca ventrale è nutrito da un capezzolo che produce un latte di crescita con pochi grassi e molte proteine, mentre un altro capezzolo più laterale e più lungo produce un latte più sportivo ricco di carboidrati: è destinato al cangurino più grande che salta vicino alla mamma e che ogni tanto le si avvicina per alimentarsi. Quando uno dei due cangurini smette di poppare, calano i livelli di prolattina e il blastocina che si trovava in attesa può iniziare a svilupparsi.
Le foche dal cappuccio, sebbene piuttosto grandi, hanno il periodo di lattazione più breve che si conosca: circa una settimana. La madre accumula il grasso in anticipo, partorisce su banchi di ghiaccio galleggianti e nutre i piccoli con panna: un latte con circa il 60% di grassi. Il piccolo aumenterà di circa 25 chili in pochi giorni; quando il banco di ghiaccio si spezzerà, il cucciolo potrà andare alla deriva e ritrovarsi così improvvisamente svezzato in un mondo gelido dove soltanto i più cicciottelli sopravvivranno.
Alcuni animali, come i lupi, partoriscono cuccioli particolarmente immaturi che vengono tenuti al caldo della tana per parecchio tempo dopo il parto; il latte di queste madri è per questo motivo particolarmente ricco di proteine. I bovini, che partoriscono cuccioli capaci di mettersi in piedi a poche ore dal parto, producono invece un latte povero di proteine e molto ricco di zuccheri.
Tra i piccioni, le tortore e i fenicotteri la prolattina stimola sia nelle femmine che nei maschi il cosiddetto “latte di gozzo”, un cibo parzialmente digerito misto a muco che prodotto dai tessuti della gola viene rigurgitato nella bocca del piccolo. E’ questo uno dei pochi casi in natura di ruolo parentale completamente unisex.
La madre ornitorinco è priva di capezzoli , ma riesce ugualmente ad allattare i suoi piccoli: il latte le sgocciola dal pelo da apposite ghiandole del petto. Secondo gli evoluzionisti questo tipo di nutrimento dei piccoli rende plausibile l’idea di uno sviluppo casuale della lattazione.
Subito dopo il parto le pecore sono fortemente attratte dall’odore della pellicola viscida che ricopre l’agnello e nel leccarla imparano a riconoscere l’odore del figlio. Per indurre la madre di un agnello nato morto ad allattarne uno non suo, gli allevatori ungono quest’ultimo con il liquido amniotico dell’agnello deceduto; leccandolo la pecora diventa disposta ad allattare il piccolo e quindi ad adottarlo.
Il topo subito dopo il parto si ciba della placenta al fine di fare un ultima scorpacciata di estrogeni e progesterone; tali ormoni dispongono la madre alla cura e al legame con i piccoli, il resto lo faranno gli ormoni della lattazione: prolattina ed ossitocina.
I papà scimmie che vivono in libertà dedicano solo il 5 % del loro tempo a giocare con i piccoli, ma quando sono tenuti in cattività (dove non devono preoccuparsi di difendere la loro famiglia dagli attacchi dei predatori) il tempo passato con i piccoli aumenta fino al 50%.
Nel mondo animale soltanto tra gli uomini, gli elefanti e le balene le femmine dopo il periodo riproduttivo continuano a vivere per lungo tempo tra le figlie e i nipoti contribuendo alle cure dei piccoli; sembra pertanto che le nonne siano un bene molto raro e prezioso.
(Parte delle informazioni contenute nel presente articolo sono tratte dal bel libro della Hrdy “Istinto materno” – 2001)