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Rooming-in

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Rooming-in articoli di VocidiBimbi.it

Rooming-in

Quando è cominciato il rooming-in e chi lo ha inventato ? La prima domanda ha una risposta facilissima: il rooming-in è nato circa 100000 anni fa durante il pleistocene.

In quegli anni si partoriva nelle caverne, con poca igiene e molta scomodità; la mamma scaldava il neonato e lo nutriva per 4-5 anni col proprio latte.

Successivamente ci è stato tramandato un altro rooming-in che era programmato in una locanda, ma per problemi tecnici è poi avvenuto in una mangiatoia; come oggi anche in quell’occasione l’arrivo di visitatori (i pastori), ha impedito di mantenere nella stanza la tranquillità e la privacy necessarie dopo un parto.

Nei secoli successivi si è continuato a partorire in ogni luogo, ma la mamma e il bambino rimanevano insieme per tutto il puerperio.

E’ stato solo negli ultimi cinquant’anni che, spostando il parto in ospedale, si è cominciato a pensare che la mamma e il bambino potevano essere separati. Nella visione scientifica della nostra medicina moderna la mamma che ha partorito ha necessità assistenziali specifiche e il suo bambino deve essere accudito da personale specializzato.

Effettivamente questo modo di procedere ha permesso di ridurre enormemente l’alta mortalità della mamma e del neonato; solo all’inizio del ‘900 morivano nel mondo occidentale circa il 18% dei bambini nel primo anno di vita, oggi ne muore meno dello 0.5%.

Questo eccezionale risultato è stato possibile per l’uso degli antibiotici, per il monitoraggio della sofferenza fetale e per la possibilità di nascere per via chirurgica. Nella riduzione della mortalità materna e neonatale non ha invece contribuito la separazione del neonato dalla sua mamma.

Veniamo a questo punto alla risposta alla seconda domanda: chi ha inventato il rooming-in moderno?

Un neonatologo francese, Pierre Budin, nel 1907 scrisse un lavoro nel quale osservava che “le madri separate precocemente dai loro bambini perdevano interesse per coloro che sono state incapaci di curare e nutrire”. Durante la seconda guerra mondiale, a causa della carenza di personale, in alcuni ospedali si iniziò a tenere i neonati in camera con la mamma allo scopo di farli accudire e alimentare da lei; ci si accorse che in questo modo la mortalità per infezione calava sensibilmente.

E’ stato però solo dopo gli anni ’70 che gli studi di psicologia neonatale hanno messo in evidenza quanto fosse importante per il benessere del neonato rimanere vicino alla madre. In particolare gli studi di Bowlby e poi quelli di Winnicott e Brazelton, hanno permesso di dimostrare che il rooming-in era la strada maestra per ottenere un efficace attaccamento madre-bambino. I vantaggi riguardavano anche la capacità di allattare e di accudire il bambino; a distanza di mesi chi aveva potuto seguire un regime di degenza assieme al bambino mostrava significativi benefici nella relazione col figlio.

Lentamente si è iniziato a capire che il neonato sano non aveva bisogno di personale specializzato che lo accudisse al posto della mamma; l’azione dell’esperto doveva invece aiutare la madre a sviluppare e a far emergere innate e istintive competenze.

In futuro verrà chiesto sempre più di inventare strutture e schemi organizzativi che favoriscano il legame mamma-bambino. Per evitare di dover portare a domicilio l’ospedale occorrerà impegnarsi per portare un po’ di casa in ospedale; il rooming-in andrebbe considerato come la fase iniziale di questo ovvio e apparentemente banale tentativo.

(*) Significa “dentro la stanza” e si riferisce alla pratica ospedaliera di tenere il neonato in camera con la propria
mamma, anzichè al nido.