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Partorire scalando il Monte Bianco

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Partorire scalando il Monte Bianco articoli di VocidiBimbi.itPartorire scalando il Monte Bianco

Ogni donna che mette al mondo un bambino dovrebbe essere considerata un’esperta alpinista, in grado di scalare il Monte Bianco, poiché le due attività non sono poi così diverse…. Entrambe le imprese infatti richiedono una buona preparazione e una forte motivazione. La mamma/alpinista normalmente è consapevole di compiere qualcosa di grande e non sembra particolarmente spaventata né dalla fatica che la attende né dai rischi cui va incontro.

In realtà un po’ di paura e di timore sono presenti. I rischi infatti sono reali e nessuno può garantire a priori il buon esito dell’impresa. La mamma/alpinista, però, sa anche di non essere la prima che tenta questa ‘scalata’ e conosce molte altre mamme che hanno raggiunto con successo e felicemente la loro vetta.

Quando si scala una montagna difficile è utile avere un po’ di paura. Senza il timore di cadere si rischierebbero comportamenti poco prudenti e mancherebbe la necessaria concentrazione. Se la paura non è eccessiva, ma ben dosata, è possibile attivare energie che in condizioni di rilassatezza rimarrebbero nascoste o limitate. Nel parto la mamma riesce a tirar fuori delle capacità che non sapeva di possedere e nei ‘passaggi’ più difficili e pericolosi trova sempre il modo di procedere verso la ‘cima’.

Ogni impresa richiede una lunga preparazione, con mesi di allenamento sia sul fisico che sulla mente. La mamma/alpinista cerca tutte le notizie disponibili per conoscere in anticipo le difficoltà e prepararsi anche agli eventuali imprevisti. Legge libri e parla con chi è già salito sulla montagna; chiede informazioni agli esperti in merito alle tecniche migliori e alle attrezzature da procurarsi (a questo punto bisogna ammettere che la lista del corredino mal si presta ad analogie con il materiale da alpinismo….).

Molte mamme/alpiniste si preparano alla scalata partecipando a corsi appositi (tenuti in questo caso dall’AUSL, anziché dal CAI). Una guida/ostetrica cura la preparazione fisica e psicologica delle mamme, preoccupandosi anche degli aspetti nutrizionali e degli stili di vita migliori per garantire il successo dell’impresa (fare movimento, evitare il fumo, limitare le fatiche inutili….).

Durante il corso la mamma/alpinista può confrontarsi con altre allieve e darsi coraggio; inoltre sviluppa quello spirito di affiatamento con altri alpinisti che in montagna è sempre molto prezioso.

Per arrivare adeguatamente preparati alla scalata occorre curare molto bene l’allenamento: ginnastica, stretching, nuoto, danza; ma alle alte quote è molto importante anche la respirazione.

Lentamente si impara a portare uno zaino che può superare anche i venti chili (stranamente lo si porta davanti, anche se ogni alpinista giurerebbe che è molto più comodo portato dietro…).

Non lo abbiamo ancora detto, ma normalmente non si arrampica da soli; generalmente si procede in cordata. La mamma/alpinista è solita compiere la sua scalata in compagnia del marito. Purtroppo l’ostetrica, che conosce bene la via di salita, non può salire con loro, ma può guidare da lontano, dando coraggio e fornendo preziosi consigli per evitare i maggiori pericoli.

Il futuro papà, anche se è un maschio muscoloso, non può avere un ruolo da capocordata. Per questo tipo di scalata la natura (o direttamente chi le montagne le ha create) ha deciso che il primo di cordata deve essere la mamma/alpinista.

Come in ogni vera impresa alpinistica, la scelta del capocordata viene fatta valutando attentamente tutte le variabili, allo scopo di scegliere il più adatto affinché l’impresa abbia buon esito. In questo caso la mascolinità risulta una qualità alquanto scadente e priva di garanzie, mentre la femminilità si dimostra maggiormente adatta allo sforzo, soprattutto nelle situazioni che richiedono grande resistenza.

Rispetto al compagno la mamma/alpinista mostra anche grande capacità di adattamento, qualità molto preziosa se consideriamo le condizioni di alta variabilità presenti su una grande montagna. Ciononostante, sapere di avere all’altro capo della corda un compagno forte e preparato, deciso a fare ‘sicurezza’ qualunque cosa succeda, rappresenta per la mamma/alpinista motivo di tranquillità e di fiducia verso il buon esito dell’impresa.

La condivisione di una scalata impegnativa rinsalda l’amicizia dei compagni di cordata e rappresenta un momento forte in grado di durare nel tempo.

Una volta superate tutte le difficoltà e i pericoli, dopo aver utilizzato tutta l’energia disponibile, quando si ha l’impressione di non farcela più: ecco la vetta ! La discesa poi è bellissima e davvero speciale: infatti questa è l’unica scalata dove si sale in due e si scende in tre…

PS: l’autore di questo articolo ha scalato il Monte Bianco come capocordata nell’ormai lontano 1980; qualche anno dopo, in occasione della nascita dei suoi tre figli, si è limitato a fare ‘sicurezza’ a sua moglie….