Ciao, mi chiamo Gigi
Ho rischiato di nascere qualche settimana prima del termine perché ero stanco di aspettare e per questo la mia mamma è dovuta rimanere ricovera in ospedale per due settimane, ma poi, quando tutti hanno capito che era proprio ora che nascessi, abbiamo iniziato le danze (il nome tecnico mi hanno detto essere ‘travaglio’).
Inizialmente la mamma non riusciva a decidere se partorire nella stanza azzurra o in quella beige col letto rotondo; poteva anche provare a farmi nascere in acqua, ma ha detto che questo lo proverà per il fratellino fra qualche anno. Alla fine siamo stati nella stanza azzurra (dove c’è anche la liana per appendersi, che però stranamente non è per i bambini, ma per le mamme), assieme al papà e all’ostetrica. I medici (ginecologi, pediatri e anestesisti) io non li ho visti, ma ho saputo che ci sono e sono tutti pronti per intervenire se qualcosa dovesse andare un po’ storto.
La mia mamma però è molto forte e brava e dopo aver fatto il corso con l’ostetrica si è convinta di potercela fare senza tanti aiuti; aveva molto fiducia anche in me, perché sapeva che anch’io mi stavo preparando e allenando da mesi per questo momento. Il travaglio è davvero molto lungo, ma per fortuna in sala parto c’era lo stereo e così abbiamo potuto rilassarci ascoltando un po’ della mia musica preferita. Quando finalmente sono riuscito a venire fuori, subito mi mancava l’aria e ho urlato con tutta la mia forza le prime due parole che mi sono venute in mente: “uè, uè”.
L’ostetrica è stata veloce ad asciugarmi e ad appoggiarmi sulla pancia della mamma. Con le luci basse, la musica e la pelle calda della mamma mi sono davvero tranquillizzato e ho smesso subito di piangere, ma per l’emozione a questo punto ha cominciato a piangere la mamma.
Nella prima ora ho potuto rimanere nella stanza azzurra con la mia mamma e il mio papà, isolato dal resto del mondo a godermi tutto quello che era successo. Ho potuto subito cominciare a succhiare al seno; all’inizio ero un po’ imbranato, ma quando ho capito cosa dovevo fare non mi sono più staccato e ho dimostrato a tutti che ero già molto bravo… Quando la mamma è dovuta tornare in camera, io sono andato al nido col papà a fare il bagnetto e la puntura di vitamina K (fa un po’ male, ma dicono che è importante per la mia salute). Mi hanno messo una tutina blu con disegnata sopra una barchetta e mi sentivo un po’ un cartone animato; poi mi hanno pettinato con la riga da una parte.
A questo punto finalmente sono stato portato in camera dalla mamma. Tutti devono ricordarsi che riesco a stare senza di lei solo pochi minuti; ho smarrito la mia amica placenta e non ho ancora avuto tempo di farmi nuovi amici. Per ora conosco solo la mamma e il papà e per me gli altri sono tutti degli estranei dei quali è meglio non fidarsi troppo.
In ospedale ho succhiato al seno tutte le volte che volevo e sono rimasto in camera con la mamma; quando c’era troppa confusione la mamma mi allattava in una stanza appartata dove non possono entrare neppure i parenti. Ogni mattina sono stato visitato dal pediatra, così i miei genitori si sono tranquillizzati: a loro fa molto piacere sentirsi dire che sono sano come un pesce.
Dopo due giorni ci hanno lasciato andare a casa, ma prima mi hanno fatto un altro buchetto al piede, anche questo non è un piacere, ma sembra un esame molto importante. La mamma è stata molto contenta di portarmi a vedere la nostra casetta, ma era anche un po’ preoccupata e aveva paura di sbagliare. Per fortuna dopo soltanto due giorni trascorsi a casa era già programmato un controllo in ospedale; la mia mamma per l’occasione ha preparato con papà un elenco di dodici domande da fare al pediatra.
Gigi