Testimonianza di un padre neonatologo

Testimonianza di un padre neonatologo

Sono passati quasi ventotto anni da quella notte di pioggia nella quale apparse Jacopo, il mio primo figlio. Ogni minuto di quell’evento è scolpito nella mia mente come fossero passate solo poche ore. Ero lì come padre in attesa, ma anche come pediatra; infatti quella notte era il mio turno e decisi di non chiedere una sostituzione. L’ultima parte del parto fu complicata dalla scorretta rotazione della testa; la difficile situazione si risolse per la grande forza di mia moglie, trasformatasi per l’occasione in leonessa, e il supporto di una ostetrica davvero esperta. Ma anche il nostro piccolo Jacopo ce la mise tutta per buttarsi nelle nostre mani. Avevo già visto nascere tanti bambini e da alcuni anni ogni giorno mi occupavo dei prematuri e dei neonati in difficoltà.

Quella notte però tutto divenne strano e magico. Ero nel mio luogo di lavoro, assieme a operatori con i quali condividevo da tempo un lavoro appassionante e difficile, ma vedere mio figlio sgusciare fuori da Monica ha completamente trasformato quel luogo. I miei gesti nell’aiutare mio figlio a respirare erano quelli previsti in situazioni analoghe, ma l’emozione era del tutto nuova, mai provata prima, e alla fine anche del tutto imprevista. Era la fisicità e la vitalità di quella nuova persona a spiazzarmi.

La sua voce mai udita prima. La sensazione – non del tutto cosciente – che si trattava di un inizio definitivo, come se la nostra creazione del mondo avvenisse in quel momento. Lo straordinario squarciava l’ordinario e lo trasformava profondamente. La sensazione, già dopo pochi minuti dalla nascita, era che nulla sarebbe stato più come prima, che io stesso ero già irrimediabilmente diverso. Fu l’iniziò di un cammino avventuroso e pieno di emozioni. Tornati a casa ogni giornata si arricchiva di novità e scoperte. La fatica e l’impegno dell’accudimento finivano sempre per essere annullate dal piacere di nuove e inattese soddisfazioni. Quel piccolino che cresceva veloce era una costante meraviglia. Nell’arco di poche settimane, sia l’esperienza professionale sia quanto studiato nei libri, sono lentamente finiti laggiù sullo sfondo; in primo piano solo lui e la sua mamma, entrambi sempre in grande attività, due in uno, impossibile scegliere quello da amare di più.

Ma di quel primo anno il dono più prezioso, che ancora mi porto dentro, è il privilegio di poter vedere il mondo con gli occhi di un bambino. E’ probabilmente soltanto una visione parziale e limitata, o forse una semplice intuizione, ma è quanto basta per consolidare una riconoscenza definitiva e irrazionale per la vita.

Pubblicato in “Ve lo spiego io” di Grittini F. e Brunetti S., La Memoria del Mondo Libreria Editrice, 2015


Parto a domicilio

Esperienza di parto a domicilio: un neonatologo che si crede un re magio

Quando giro per la mia città mi trovo a pensare ‘lassù in quella mansarda una sera piovosa è nata una bambina’, ‘dietro quella finestra al primo piano è nato un bambino, era la mattina del giorno dell’Immacolata’, ‘ in quel condominio anonimo e banale è nato Mattia (o Matteo ?)’. Quando giro per la mia città ritrovo, anche dopo anni, i luoghi della nascita dei bambini nati a casa loro e nella mia mente si accende una mappa dove compaiono zone speciali, animate da occhi grandi, arti che nuotano nell’aria, voci ritmiche e squillanti.

La mia città si anima di bambini nuovi che sono nati qui e là, nelle ore più impensate e inopportune, senza preoccuparsi del momento storico, senza avvisare o farsi annunciare da segni premonitori. Sono bambini nati a casa loro, quando volevano loro, senza chiedere il permesso all’amministratore e senza consultare il regolamento condominiale. In passato tutto ciò era normale e quasi banale, poi per molti anni soltanto in una zona precisa della città era consentito nascere, adesso qualcuno ha ricominciato a nascere qua e là, in mansarda o in bagno, nel salone o in camera, in condominio o in case appartate, dietro il centro commerciale o nascosto tra alberi e fossi, alla luce dell’insegna al neon o in un viottolo buio.

La città è così colonizzata da bambini e da bambine appena nati, da pance che si svuotano con l’ultimo urlo e da seni che si gonfiano per continuare a nutrire e terminare l’opera. La mia città ha cominciato ad apparirmi diversa, è diventata una città generatrice di persone nuove, una città creatrice, che accetta e accoglie nuove vite in qualunque suo angolo, senza preoccuparsi di regolamentare questa attività. La mia città sembra volermi avvisare di essere contenta di far nascere dappertutto.

Da quando faccio il pediatra in un ospedale di provincia, anche la campagna lungo il fiume Enza è diventata una campagna che genera. Così passo in auto tra piccoli gruppi di case e ritrovo dietro la finestra al piano terra un luogo di nascita, ad un crocicchio dopo l’edicola nascosto da un grande olmo inizia il viottolo che porta ad un altro punto nascita. Nella mia mente anche la geografia reggiana si anima di neonati che hanno potuto nascere dove volevano senza doversi allontanare dalla loro casa e dal loro cortile, lo stesso dove negli anni successivi potranno correre e giocare, farsi male ed essere consolati, perdersi e ritrovarsi.

Il mio concetto astratto di ‘genitorialità diffusa’ comincia a farsi più chiaro e concreto, ogni punto di questo mondo mi sembra disposto a generare. La genitorialità è diffusa perché è potenzialmente in ogni luogo e ogni luogo sembra capace di accogliere una persona nuova. La professione che ho scelto mi ha permesso di veder nascere in ospedale migliaia di bambini, quelli che ho visto nascere a casa sono pochi, ma valgono molto. Per me vale molto anche sperimentare il tragitto per andare a visitarli: sono io a spostarmi per andare da loro, e come un Re Magio cerco i segni indicatimi dall’ostetrica per trovare il luogo della nascita. L’esperienza continua una volta entrato in casa: l’ambiente è sempre il solito, come a casa mia, ma l’atmosfera è quella del grande evento.

I genitori sono tranquilli, si sentono a casa loro; quando arrivo io le difficoltà sono già terminate, ho il piacere e il privilegio di sentire la quiete dopo la tempesta. Non è possibile fare nulla di corsa, non si riesce a stare in piedi, è normale anche sedersi e bere qualcosa; non mi sento lì per visitare il bambino, mi sento in visita ad una famiglia che cresce e che è ancora piacevolmente stordita dall’esperienza appena vissuta. Quando visito un bambino nato a casa è raro sentirlo piangere, generalmente è molto tranquillo e si lascia toccare senza paura, è a casa sua, sente odori e rumori famigliari, nulla lo può minacciare in casa sua.

Quando sono presenti dei fratellini la loro partecipazione alla visita è un gioco nuovo che avviene nel loro ambiente, fosse per loro dovresti rimanere tutta la sera a giocare con loro. Il papà è sempre molto indaffarato, pensandoci bene si comporta un po’ come una caposala dell’ospedale che si sente in dovere di controllare tutto. La mamma invece spesso sembra distaccata, quasi avesse deciso volontariamente di ridurre la tensione accumulata e ritrovare il proprio equilibrio profondo. Ho visto mamme in piedi dopo solo due ore dal parto affaccendate come se qualcun altro avesse partorito in quella casa: mi è parso come il lavoro di un monaco nell’orto del monastero che interrompe le ore di preghiera e meditazione consapevole di tornare presto a concentrarsi sul mistero che gli riempie l’esistenza.

Le primipare che partoriscono a casa loro già dalle prime ore dal parto hanno la vestaglia bagnata di colostro che esce da solo; probabilmente nessun altro ormone è presente in loro a contrastare il processo della lattazione così perfettamente programmato fin dall’alba della nostra specie.

Questa esperienza professionalmente ti racconta come si viene al mondo, ti spiega che è possibile nascere così. Ovviamente tutto ciò è possibile in sicurezza soltanto perché queste mamme e questi bambini sono stati selezionati da tempo e perché i travagli difficili e i parti rischiosi vengono fatti in ospedale; non sono pochi i parti che cominciano a casa e poi devono essere terminati in ospedale. Ma va bene così, questi piccoli nati a casa loro sono lì per mostrare a tutti una nascita semplice e per indicare anche agli ospedali una maniera ‘dolce’ per nascere. Da questi bambini dobbiamo tutti imparare qualcosa, per aiutare a nascere meglio anche quelli che devono nascere con difficoltà.

I bambini che nascono a casa loro sono dei privilegiati e io che sono andato a trovarli non sono meno privilegiato di loro.

Questo articolo è stato pubblicato nel n.52/2006 della rivista Donna & Donna


Sculacciata

Una sculacciata giusta o sbagliata? Ask the boy

Il fatto. In Inghilterra un dirigente d’azienda sculaccia il figlio Harry di 7 anni che si era allontanato da casa al buio per recarsi al parco; in base ad una legge del 2004 sul ‘castigo genitoriale’ il solerte padre viene condotto in questura e lì trattenuto per una notte in attesa di essere interrogato.

Il seguito. Un autorevole giornalista de La Repubblica scrive un commento alla vicenda inglese ironizzando sulla giustizia di quel paese. Egli sostiene “non è stato un isterico schiaffo sul viso, ma una salutare manata sul sedere che – come sanno tutti i padri affettuosi del mondo – è una prova d’amore, una specie di energica carezza che non può esser confusa da nessuno con un atto di violenza” Il pezzo termina con parole grosse “l’ Inghilterra sta diventando uno strano paese dove i ragazzi si accoltellano senza ragione, (…) per i minorenni è più facile comprare coltelli che birra. Forse noi padri siamo davvero dei loschi individui, ma se a questi giovani accoltellatori i loro padri avessero dato qualche sculacciata o magari anche qualche schiaffone in più…”.

L’esperto. Westen Drew nel suo trattato di psicologia, in uso presso molte università, scrive che “quando ci si comporta in modo aggressivo per punire un comportamento, spesso si ottiene solo di stimolare l’aggressività della persona punita (…) quanto più i genitori ricorrono alla punizione fisica tanto più i loro figli tendono a comportarsi in modo aggressivo. Se i genitori che utilizzano tali sistemi intendono insegnare ai loro figli l’autocontrollo, farebbero meglio a impararlo loro, perché picchiare i bambini tende a far aumentare la probabilità che da adulti abbiano meno autocontrollo, meno autostima e relazioni più disturbate, che siano più soggetti alla depressione e che maltrattino a loro volta i figli ed il coniuge.”.

Il nostro commento.

E’ senz’altro esagerato l’arresto del padre di Harry, anche se per una sola notte; inoltre immaginiamo quali sensi di colpa avranno angosciato il piccolo discolo. Ma non distraiamoci con le questioni legali. Cerchiamo di capire chi ha ragione tra il nostro brillante giornalista e l’autorevole studioso americano. Il primo sostiene che senza un po’ di botte si diventa accoltellatori, il secondo sostiene che è vero il contrario, la punizione fisica produce adulti violenti.

Una prima osservazione è che l’affermazione del giornalista sembra basarsi sul semplice buon senso (un po’ di disciplina è necessaria e una sana punizione a volte inevitabile), lo studioso invece fonda la sua affermazione su numerosi studi di psicologia e sociologia (è ampiamente documentato che gli adulti violenti hanno in passato subito violenze, molto spesso tra le mura domestiche).

La seconda osservazione nasce dalla affrettata affermazione del giornalista che definisce la sculacciata non un atto di violenza, ma al contrario una ‘energica carezza’, la ‘manata sul sedere – sostiene un po’ troppo precipitosamente – è una prova d’amore’. Se fosse veramente come sostiene il commentatore, il piccolo Harry come reazione alla sculacciata avrebbe dovuto sorridere e abbracciare l’affettuoso padre. Probabilmente non c’è giudice né giornalista né genitore né psicologo in grado di sapere se quella sculacciata è stata o meno un atto di violenza, solo il piccolo Harry potrà dirci se per lui la reazione del padre è stata umiliante, se l’ha ferito dentro più che sul sedere. Dobbiamo chiede a Harry se ha percepito il padre come un implacabile castigatore, se ha sentito il peso di un giudizio rivolto a lui come persona anziché sull’azione commessa.

Terza ed ultima osservazione. Se analizziamo il problema secondo il metodo dell’ask the boy (nel dubbio chiedi al ragazzo, cioè cerca di vedere la cosa anche dal suo punto di vista), sarebbe molto utile chiedersi perché Harry ha deciso di andare da solo nel parco al buio? Una ragione l’avrà senz’altro avuta, e probabilmente il suo scopo non era né quello di fare spaventare il padre né tantomeno quello di ricevere una sana patacca sul sedere. Ragionare con lui sul motivo della sua azione avrebbe probabilmente prodotto molto più della sculacciata. Non raggiungiamo un grande risultato se Harry in futuro farà attenzione a non allontanarsi da casa soltanto perché ha paura di essere picchiato. Nell’età evolutiva la strada dell’autonomia e della responsabilità deve passare dal dialogo e dalla riflessione affettuosa; la punizione fisica o psicologica non riesce ad educare neppure un adulto figuriamoci un bambino, che probabilmente in quel parco voleva soltanto verificare se quella sera sarebbe passato Ivanhoe per abbeverare al tramonto il suo bianco cavallo….


Bimbo e TV

Bimbo e TV “La televisione sotto i tre anni ? No, otto volte no

Nei prossimi mesi è atteso nel nostro Paese un nuovo canale satellitare, già attivo negli Usa, dedicato ai bambini tra 0 e 24 mesi, si chiamerà BabyFirstTv. Gli ideatori si difendono dalle critiche degli esperti (come i pediatri dell’Accademia Americana di Pediatria) sostenendo che i bambini molto piccoli vengono già messi davanti alla televisione e quindi è meglio dedicare loro una programmazione che tenga conto delle esigenze e delle capacità percettive tipiche di questa età.

Da sempre i pediatri (ma anche gli psicologici e gli educatori) sostengono la pericolosità del mezzo televisivo nei bambini con meno di tre anni. Questa nuova proposta (con scopi palesemente commerciali) rischia di creare confusione e dubbi nei genitori; occorre forse spiegare e ribadire i motivi per i quali nei bambini molto piccoli lo schermo televisivo è da proscrivere, anche nel caso trasmetta programmi dedicati.

 

  • Nei primi due anni di vita il bambino non è ancora capace di distinguere realtà e fantasia, né di fare ragionamenti astratti; vive e pensa per emozioni e percezioni. Nei confronti di un assetto psicologico così particolare qualunque programma televisivo è destinato a provocare estrema confusione, producendo percezioni visive e sonore che potrebbero essere paragonate a vere e proprie allucinazioni, col rischio di deformare e condizionare negativamente la costruzione del senso di realtà da parte del bambino.

 

  • Nel primo anno di vita il bambino non ha ancora raggiunto la maturazione che gli permette di avere la consapevolezza di se stesso e della propria individualità; questo processo si realizza attraverso il rapporto con le persone che si prendono cura di lui e l’interazione con l’ambiente. All’interno di una dinamica tanto complessa la televisione può soltanto produrre una grave e pericolosa interferenza senza alcuna possibilità di personalizzare e finalizzare gli stimoli che giungono al bambino.

 

  • Nei primi due anni di vita la realtà spaziale e temporale non sono vissute in maniera oggettiva e consapevole, “gli avvenimenti del bambino sono senza connessione”(Fraiberg); sono le figure di accudimento che permettono al bambino di mettere insieme i ‘pezzi’ dell’esistenza che lentamente acquista significato. Lasciare alla televisione questo delicatissimo ruolo può condurre il bambino a farsi un’immagine della realtà completamente falsa ed esterna al suo contesto di vita.

 

  • Gli studi di neuroscienza degli ultimi anni hanno permesso di capire che il cervello del bambino nei primi due anni sviluppa specifiche connessioni nervose responsabili della futura attività cerebrale. Gli stimoli esterni compresi nelle esperienze del bambino indirizzano e condizionano il tipo di struttura che progressivamente va organizzandosi. Gli stimoli forniti dalla televisione in questa età sono in grado di condizionare (in una direzione che ancora nessuno ha potuto studiare) lo sviluppo e la maturazione del cervello. Studi scientifici eseguiti su bambini più grandi (3-5 anni) hanno dimostrato che un uso eccessivo e improprio della televisione è in grado di interferire sulla capacità linguistica e sul pensiero matematico, predisponendo in alcuni casi alla sindrome di ADHA (deficit di attenzione e iperattività).

 

  • Ancora le ricerche di neuroscienze hanno scoperto che nei primi anni di vita sono molto attivi i cosiddetti ‘neuroni specchio’ i quali, attivando i processi di imitazione, permettono di dare avvio all’apprendimento e alla capacità di relazione e di comunicazione interpersonale (praticamente la base e il senso della nostra vita sociale). La televisione agisce, nel bambino piccolo, in un momento nel quale questo meccanismo è ancora immaturo e privo di qualunque filtro difensivo.

 

  • Sappiamo da tempo che il pensiero e la capacità cognitiva nei cuccioli della nostra specie hanno bisogno di svilupparsi attraverso l’interazione con le persone di accudimento. Il bambino piccolo per crescere deve poter toccare ed essere toccato, deve poter inviare un segnale e ricevere una risposta; di fronte ad un viso depresso o inespressivo viene travolto dall’ansia. Per crescere il bambino ha bisogno di lanciare un suono e di ricevere in cambio parole ed espressioni rassicuranti in grado incoraggiare l’invio di altri segnali e di stimolare altri ‘esperimenti’. Tutta questa dinamica e spontanea interazione è impossibile al mezzo televisivo, che non è in grado di rispondere ai segnali-domande del bambino né ha la possibilità di lasciarlo sperimentare alcunché.

 

  • E’ falsa l’opinione che stimoli adeguati provenienti dal video (della TV come del PC) possano stimolare l’intelligenza nel bambino piccolo. L’intelligenza nei primi anni di vita inizia a svilupparsi attraverso la coordinazione tra prensione e visione, che significa vedere un oggetto, afferrarlo, assaggiarlo e, più avanti, lanciarlo (magari producendo un bel po’ di rumore e facendo di tutto perché qualcuno lo riporti, con la disponibilità di ripetere l’operazione qualche migliaio di volte). Anche lo sviluppo del linguaggio, e quindi del pensiero astratto, deve prima passare attraverso l’esperienza concreta con gli oggetti ai quali, insieme ai genitori, si deciderà un giorno di attaccare un nome.

 

  • Gli autori di questi nuovi programmi definiscono i loro contenuti ‘educativi’, ma nel primo anno di vita nessun bambino può essere veramente ‘educato’, perché la sua esistenza si basa ancora su percezioni e sensazioni, senza ancora la possibilità di rapportarsi a schemi predefiniti (che non siano semplicemente l’interazione con le persone di accudimento); in questa età per uniformare un bambino a schemi esterni ai suoi bisogni occorre impostare un processo più simile all’addomesticamento. I processi educativi saranno operativi più avanti, quando il bambino sarà diventato capace di relazioni consapevoli e personali e avrà iniziato a comunicare direttamente con le persone e con l’ambiente.

 

Come ha ben sintetizzato la psicologa dell’infanzia Anna Oliverio Ferraris, la televisione nei primi due anni può ‘generare una incompetenza emotiva e cognitiva’. Noi riteniamo che la vera ‘televisione’ per un bambino piccolo siano i suoi genitori, per i quali il proprio figlio non è un qualunque indefinibile e virtuale (e pagante) telespettatore-cliente-utente, ma l’unico e irripetibile bambino, in ogni caso, il più bello e bravo del mondo.


Ciao, mi chiamo Gigi

Ciao, mi chiamo Gigi

Ho rischiato di nascere qualche settimana prima del termine perché ero stanco di aspettare e per questo la mia mamma è dovuta rimanere ricovera in ospedale per due settimane, ma poi, quando tutti hanno capito che era proprio ora che nascessi, abbiamo iniziato le danze (il nome tecnico mi hanno detto essere ‘travaglio’).

Inizialmente la mamma non riusciva a decidere se partorire nella stanza azzurra o in quella beige col letto rotondo; poteva anche provare a farmi nascere in acqua, ma ha detto che questo lo proverà per il fratellino fra qualche anno. Alla fine siamo stati nella stanza azzurra (dove c’è anche la liana per appendersi, che però stranamente non è per i bambini, ma per le mamme), assieme al papà e all’ostetrica. I medici (ginecologi, pediatri e anestesisti) io non li ho visti, ma ho saputo che ci sono e sono tutti pronti per intervenire se qualcosa dovesse andare un po’ storto.

La mia mamma però è molto forte e brava e dopo aver fatto il corso con l’ostetrica si è convinta di potercela fare senza tanti aiuti; aveva molto fiducia anche in me, perché sapeva che anch’io mi stavo preparando e allenando da mesi per questo momento. Il travaglio è davvero molto lungo, ma per fortuna in sala parto c’era lo stereo e così abbiamo potuto rilassarci ascoltando un po’ della mia musica preferita. Quando finalmente sono riuscito a venire fuori, subito mi mancava l’aria e ho urlato con tutta la mia forza le prime due parole che mi sono venute in mente: “uè, uè”.

L’ostetrica è stata veloce ad asciugarmi e ad appoggiarmi sulla pancia della mamma. Con le luci basse, la musica e la pelle calda della mamma mi sono davvero tranquillizzato e ho smesso subito di piangere, ma per l’emozione a questo punto ha cominciato a piangere la mamma.

Nella prima ora ho potuto rimanere nella stanza azzurra con la mia mamma e il mio papà, isolato dal resto del mondo a godermi tutto quello che era successo. Ho potuto subito cominciare a succhiare al seno; all’inizio ero un po’ imbranato, ma quando ho capito cosa dovevo fare non mi sono più staccato e ho dimostrato a tutti che ero già molto bravo… Quando la mamma è dovuta tornare in camera, io sono andato al nido col papà a fare il bagnetto e la puntura di vitamina K (fa un po’ male, ma dicono che è importante per la mia salute). Mi hanno messo una tutina blu con disegnata sopra una barchetta e mi sentivo un po’ un cartone animato; poi mi hanno pettinato con la riga da una parte.

A questo punto finalmente sono stato portato in camera dalla mamma. Tutti devono ricordarsi che riesco a stare senza di lei solo pochi minuti; ho smarrito la mia amica placenta e non ho ancora avuto tempo di farmi nuovi amici. Per ora conosco solo la mamma e il papà e per me gli altri sono tutti degli estranei dei quali è meglio non fidarsi troppo.

In ospedale ho succhiato al seno tutte le volte che volevo e sono rimasto in camera con la mamma; quando c’era troppa confusione la mamma mi allattava in una stanza appartata dove non possono entrare neppure i parenti. Ogni mattina sono stato visitato dal pediatra, così i miei genitori si sono tranquillizzati: a loro fa molto piacere sentirsi dire che sono sano come un pesce.

Dopo due giorni ci hanno lasciato andare a casa, ma prima mi hanno fatto un altro buchetto al piede, anche questo non è un piacere, ma sembra un esame molto importante. La mamma è stata molto contenta di portarmi a vedere la nostra casetta, ma era anche un po’ preoccupata e aveva paura di sbagliare. Per fortuna dopo soltanto due giorni trascorsi a casa era già programmato un controllo in ospedale; la mia mamma per l’occasione ha preparato con papà un elenco di dodici domande da fare al pediatra.

Gigi


Le paure

Le paure

Le paure durante la gravidanza sono normali; e sono anche utili. Fare un bambino è una vera impresa, un po’ come scalare il Monte Bianco, e quando si arrampica un po’ di paura serve per essere prudenti e concentrati. Bisogna però evitare di avere troppa paura per evitare di rimanere ‘bloccati’ in parete e avere bisogno del Soccorso Alpino…. L’elenco che segue contiene le paure scritte su post-it da mamme e papà in attesa del loro primo figlio. Pensiamo che possa servire leggere le paure degli altri e metterle a confronto con le proprie.

HO PAURA….

che il bambino stia male prima, durante e dopo il parto
che ci siano complicazioni nel momento del parto
che gli esami non capiscano che il bambino è malato
che il bambino abbia delle malformazioni
che il bambino non dorma
che abbia mal di pancia
che il bambino soffochi mentre mangia
di non essere capace….
della depressione postparto
del dolore fisico del travaglio
di trasmettergli il mio nervosismo
di non mantenere la calma e il controllo durante il parto
di non riuscire ad allattare
di non avere abbastanza latte
di non capire se ha mangiato abbastanza
di non riuscire ad interpretare il suo pianto
di non riuscire a gestirlo
di non saper riconoscere le coliche
di fargli del male nel cambiarlo
di non riuscire a tenerlo in braccio nel modo giusto
delle malattie
delle morti bianche
di non capire le sue esigenze
di non capire quando è sazio
di non saper risolvere i suoi problemi
di essere troppo apprensiva per niente
di non riuscire a dargli tutto quello di cui ha bisogno


Il bambino secondo Janusz Korczak

Il bambino secondo Janusz Korczak

“Il bambino pensa con il sentimento, non con l’intelletto”.
Janusz Korczak (1878-1942)

Janusz non era uno psicologo, ma aveva trovato la chiave per entrare nel mondo dei bambini. Era pediatra, pedagogo, scrittore, poeta, libero pensatore. Era anche ebreo (il vero nome era Henryk Goldzmit) e per questo ha terminato prematuramente la sua vita nel campo di sterminio di Treblinka nel 1942 assieme a duecento bambini ospiti di quella Casa dell’Orfano che dirigeva da circa trent’anni a Varsavia.

L’opera e le idee di Korczak sono poco note nel nostro Paese perché solo da pochi anni alcuni dei suoi scritti più significativi sono stati tradotti e pubblicati dalla casa editrice Luni. La sua opera principale si intitola “Come amare il bambino” ed è stata scritta tra il 1914 e il 1918 e pubblicata in polacco nel 1920. Questo saggio, a nostro giudizio, non ha semplicemente un valore storico, ma contiene pensieri e riflessioni di grande attualità, in grado di stimolare e illuminare il nostro lavoro con i bambini.

Korczak si era specializzato in pediatria a Parigi e a Berlino e per sette anni aveva esercitato la professione in ospedale con notevole successo. Ben presto però si accorse che benessere, crescita e stato di salute rappresentano per il bambino un’unica realtà inscindibile. Scienziato e letterato sensibile, giunse a considerare limitante doversi occupare soltanto della patologia; per lui esercitare la pediatria rischiava di diventare un ostacolo per una comprensione più profonda del bambino e del suo mondo.

 Lentamente, ma con grande lucidità, maturò l’idea, oggi attualissima, che per aiutare i bambini a crescere occorreva considerarli nella loro globalità e integrità, unificando i saperi della medicina, della psicologia, della pedagogia, della sociologia, ma anche della storia, della poesia, della religione…

Korczak aveva imparato a vedere il mondo con gli occhi dei bambini. Lo dimostra anche un suo romanzo, intitolato “Quando ridiventerò bambino” del 1924, nel quale racconta la giornata di un bambino di otto anni attraverso il suo particolare punto di vista. Nei suoi scritti sono numerose le sollecitazioni per “entrare” nell’ottica del bambino (o per tornare a vedere il mondo come quando eravamo piccoli). Sul tema dei diritti del bambino Korczak si è dimostrato particolarmente profondo, lucido e in grande anticipo rispetto alla società del suo tempo: nel 1929 scrisse “Il diritto del bambino al rispetto”, un’intera opera dedicata a questo argomento.

 Con parole appassionate Korczak spiega che è possibile riconoscere i diritti dei bambini soltanto quando si è capaci di capire i bambini, il loro mondo e i loro bisogni di crescita, quando si è capaci di vedere e di sentire come vedono e sentono loro, quando si riesce a considerare il loro mondo allo stesso livello di importanza del nostro: questo aveva imparato dai suoi ragazzi, questo era stato capace di fare nel corso della sua vita.

BRANI TRATTI DA “COME AMARE IL BAMBINO” DI JANUZ KORCZAK, 1920
(la suddivisione per argomento è del curatore al fine di facilitare la lettura)

Gravidanza

Dici: -il mio bambino-. Quando, se non durante la gravidanza, ne hai maggior diritto ? Il battito del suo cuore, minuscolo come un nocciolo di pesca, è eco del tuo. Il tuo respiro porta ossigeno anche a lui. Un unico sangue scorre in lui e in te, e neanche una delle sue rosse gocce potrebbe dire di sapere se rimarrà tua o se diverrà sua (…).

 Il boccone di pane che stai masticando gli serve per formare le gambe sulle quali un giorno correrà, la pelle che lo rivestirà, gli occhi con cui guarderà, il cervello in cui farà risplendere il pensiero, le mani che tenderà verso di te.

Fra quindici anni lui guarderà verso il futuro, tu verso il passato. In te ricordi e abitudini, in lui tendenza ai cambiamenti e fiere speranze. Tu dubiterai, lui attenderà con fiducia, tu paventerai, lui non avrà timore.

Puericultura e allattamento

Una cosa strana: prima il figlio le era più vicino, adesso era più suo; era più certa della sua salute, lo capiva di più. Riteneva di sapere, di essere capace. Dal momento in cui mani estranee – esperte, pagate per questo, sicure del fatto loro – si sono prese cura di lui, lei, sola, relegata in secondo piano, si sente inquieta. Il mondo glielo sta già togliendo.

A volte i genitori non vogliono sapere quello che sanno, né vedere quello che vedono. (…)

Tutte le madri sono in grado di allattare, tutte hanno una quantità di latte sufficiente; solo la mancata conoscenza della tecnica di allattamento le priva di questa innata capacità. (…) L’allattamento, infatti, è la prosecuzione della gravidanza, allorchè il bambino si è trasferito dall’interno all’esterno, si è separato dalla placenta, ha afferrato il seno e beve non più rosso, ma bianco sangue. Beve sangue ? Sì, sangue della madre, perché è questa la legge della natura (…).

Quante volte al giorno il bambino dovrebbe essere allattato ? Da quattro a quindici. Quanto deve durare la poppata ?

Da quattro minuti a tre quarti d’ora e più. Incontriamo seni facili e difficili, poveri o ricchi di nutrimento, con capezzoli buoni e meno buoni, resistenti e delicati. Incontriamo bambini che poppano energicamente, discontinuamente e pigramente. Non esiste quindi una regola valida per tutti (…).

La bilancia può essere un consigliere infallibile, quando dice ciò che sta accadendo; può diventare un tiranno quando la usiamo per realizzare la “normale” crescita del bambino dettata dagli schemi. Mi auguro che non passeremo dal pregiudizio delle “feci verdi” a quello della “curva ideale” (…)

Allorchè al bambino non basti il latte delle poppate, occorrerà completare l’alimentazione gradualmente, aspettando sempre le reazioni del suo organismo, dandogli di tutto, a seconda delle risposte del bambino stesso.

Ogni opuscolo (di puericultura) in voga ricopia dai manuali quelle piccole verità valide per i bambini in generale, ma che diventano menzogne per il tuo in particolare. (A proposito di svezzamento) occorre distinguere la scienza della salute dal commercio col pretesto della salute (…).

Primo anno di vita

Finchè la mortalità infantile era tanto spaventosamente alta, tutta l’attenzione della scienza era costretta a concentrarsi su biberon e pannolini. Oggi, forse fra poco, oltre che della vita vegetativa, potremo occuparci chiaramente della vita e dello sviluppo psichico del bambino nel primo anno di vita. Ciò che è stato fatto finora non rappresenta che un inizio. Infinito è il numero dei problemi psicologici e delle conseguenze che stanno al confine fra soma e psiche del lattante. (…)

 Se vogliamo conoscere le forme primogenie dei pensieri, dei sentimenti e delle aspirazioni prima che si sviluppino, si differenzino e si definiscano, dobbiamo rivolgerci a lui, al lattante.

Soltanto una sconfinata ignoranza e superficialità dello sguardo possono negare l’evidenza che il lattante possiede una individualità ben precisa e determinata, in cui confluiscono temperamento innato, energia, intelletto, senso di benessere ed esperienze vitali.

La vista. Il profilo del viso, come la falce della luna; solo il mento e la bocca quando il bambino la guarda da sotto in su; lo stesso viso, questa volta con gli occhi, quando guarda dal basso accomodato sulle ginocchia della madre e ancora con i capelli, se essa si china di più. Ma l’udito e l’olfatto dicono che è la stessa cosa. (…) Il lattante non sa che seno, viso, mani formano un’unità – la madre.

Parla con il linguaggio mimico, pensa con il linguaggio delle immagini e dei ricordi delle sensazioni provate (…). Pensa con le immagini della passeggiata e con i ricordi delle sensazioni provate durante le passeggiate precedenti.

Accettare lo sviluppo dell’intelletto del lattante è oltremodo difficile perché egli impara molte volte e molte volte dimentica: è uno sviluppo a più fasi, intervallato da pause e regressioni.

Sviluppo psicomotorio e crescita

Jedrek è un bambino di campagna. Cammina già. Si tiene allo stipite della porta e, scivolando cautamente fuori dello stanzone, va nell’atrio. Dall’atrio procede gattoni sui due gradini di pietra. Davanti alla casa incontra un gatto: si guardano un po’ e ognuno riprende la propria strada. Inciampa in un grumo d’argilla, si arresta, guarda. Ha trovato un bastoncino, siede, scava nella sabbia. C’è una buccia di patata, la porta alle labbra, sabbia in bocca, fa una smorfia, sputa, getta via. Si rialza in piedi, corre incontro al cane; il cane lo fa cadere, il bruto.

Fa già la smorfia di piangere, no: si è ricordato qualcosa, trascina la scopa. La mamma sta andando per acqua; si attacca alle sue gonne e cammina già più sicuro. Un gruppo di bambini più grandi, hanno un carretto, li guarda: lo mandano via, lui rimane in disparte e guarda. Due galletti si azzuffano, lui guarda. Lo mettono sul carrettino, lo portano, lo rovesciano. La mamma chiama. E’ la prima mezz’ora delle sedici ore della sua giornata.

Se gli prendi il cucchiaio, con il quale picchia sulla tavola, non lo privi di una cosa posseduta, ma della proprietà che ha la mano di scaricare energia e di esprimersi mediante il rumore.

Ha lasciato cadere a terra un bicchiere. E’ successa una cosa molto strana. Il bicchiere è sparito, e al suo posto sono comparsi degli oggetti completamente diversi. Si china, prende in mano un vetro, si ferisce, si fa male, dal dito cola il sangue. Tutto è pieno di misteri e di sorprese.

Dicono che ci sia una luna sola, ma la si vede dappertutto. – Senti, io mi metterò dietro la siepe, e tu mettiti in giardino – Hanno chiuso il cancello. – Allora, c’è la luna in giardino ?- C’è – Anche qui c’è – Si sono scambiati di posto, hanno verificato un’altra volta: ora sono sicuri che di lune ce ne sono due.

Che vita difficile hanno questi nani nel paese dei giganti ! Sempre con la testa in su per vedere qualcosa. La finestra è in alto come in prigione. Per sedersi su una seggiola, bisogna essere un acrobata.

Il bambino piccolo si sforza di conoscere se stesso, il mondo vivo e il mondo inanimato che lo circonda, perché a questo è legato il suo successo. Domandando: “che cos’è questo ?” con la parola e con lo sguardo, non vuole un nome, ma una valutazione.

Il lattante, che all’inizio triplica il peso nel corso di un anno, ha diritto a riposarsi. La velocità fulminea con la quale si compie il suo sviluppo psichico gli dà anche il diritto di dimenticare qualcosina di quanto già sapeva e noi avevamo immaturamente registrato come sua acquisizione definitiva.

Vale questo principio: il bambino deve mangiare quanto vuole, né più né meno. Anche durante l’alimentazione forzata del bambino malato, il cambiamento di dieta può essere determinato soltanto con la sua partecipazione e la cura deve essere condotta sotto il suo stesso controllo.

Costringere i bambini a dormire quando non ne hanno voglia è un delitto. La tabella che proclama quante ore di sonno sono necessarie al bambino è un assurdo. Il bambino pensa con il sentimento, non con l’intelletto.

Pericoli

L’indipendenza mi pare significhi possesso: io dispongo della mia persona. Nella libertà esiste un elemento volitivo e quindi di azione che sgorga dalla volontà. Le nostre stanze dei bambini con i mobili sistemati simmetricamente, i nostri giardini pubblici leccati non sono il campo dove si può manifestare l’indipendenza, né un laboratorio dove l’attiva volontà del bambino possa concretizzarsi.

Dappertutto trappole e pericoli, minacce e disgrazie che incombono. E se il bambino ti crederà e non mangerà di nascosto una libbra di prugne e ingannando la vigilanza con il batticuore non giocherà in un angolo con i fiammiferi, se ubbidiente, passivo, fiducioso, si sottometterà alla richiesta di evitare tutte le esperienze, di rinunciare a prove e tentativi, di schivare gli sforzi, ogni moto della volontà, che farà quando nel suo intimo sentirà qualcosa che ferisce, che brucia, morde ?

Per timore che la morte possa strapparci il bambino, strappiamo il bambino alla vita; per impedire che muoia non lo lasciamo vivere (…). Per un domani che non capisce né ha bisogno di capire lo derubiamo di molti anni di vita.

Pedagogia

Non: fa ciò che vuoi, ma: farò, comprerò, ti darò tutto quello che vuoi, ma tu devi chiedere soltanto ciò che io posso darti o comprarti o fare per te.

L’egocentrismo della visione del mondo infantile è anche mancanza di esperienza (…) Si potrebbe chiamare egocentrica visione dell’attimo presente il fatto che il bambino, per mancanza di esperienza, vive soltanto del presente. Un gioco rimandato di una settimana smette di essere realtà. D’estate l’inverno diventa una leggenda.

Il bambino conosce coloro che lo circondano, i loro umori, le loro abitudini, le loro debolezze (…). Sente la benevolenza, indovina l’ipocrisia, afferra al volo il ridicolo. Legge in faccia, come il contadino predice il tempo osservando il cielo.

Noia, il bambino non si sente in forma: quindi ha troppo caldo, ha freddo, ha fame, ha sete, mangia troppo, è sonnolento e dorme troppo, sente dei dolori e si stanca. (…) A volte provoca intenzionalmente una scenata, per ottenere nella prevedibile punizione la forte emozione che cercava.

Il gioco non è tanto l’elemento del bambino, quanto l’unico campo in cui gli permettiamo di prendere iniziativa in senso stretto o più in generale. (…) Al gioco il bambino ha diritto.Conviene ricordare che il successo del bambino non dipende solamente da come lo giudicano gli adulti, ma, in grado eguale o addirittura superiore, dall’opinione dei coetanei.

Se qualcuno ha combinato qualcosa di male, la cosa migliore è perdonarlo. Se l’ha fatto perché non sapeva, adesso sa. Se l’ha fatto involontariamente, nel futuro sarà più prudente. Se l’ha fatto perché fa fatica ad abituarsi, cercherà di essere più bravo. Se l’ha fatto perché qualcuno l’ha indotto, in futuro non seguirà più quei consigli. Se qualcuno ha fatto qualcosa di male, la cosa migliore è perdonarlo, aspettare finchè non si sarà ravveduto.

Nella teoria dell’educazione ci scordiamo che dobbiamo insegnare al bambino non solo ad apprezzare la verità, ma anche a riconoscere la menzogna, non solo ad amare, ma anche a odiare, non solo a stimare, ma anche a disprezzare, non solo ad acconsentire, ma anche a indignarsi, non solo a sottomettersi, ma anche a ribellarsi.

Il bambino vuole che l’educatore gli dimostri cordialità proprio nel momento in cui è davvero in colpa, quando è cattivo, quando ha avuto guai. Un vetro rotto, l’inchiostro versato, i vestiti strappati sono iniziative fallite (…)

Forse è la compassione l’unico sentimento benevolo che il bambino prova costantemente nei nostri confronti. “Ci deve essere qualcosa che non va, se sono sempre così infelici. Il papà poverino deve lavorare, la mamma è debole, fra non molto moriranno, non bisogna disturbarli”.

(Vogliamo) un educatore che non schiaccia ma libera, non trascina ma innalza, non opprime ma forma, non impone ma insegna, non esige ma chiede (…)

L’educatore, se si è preparato a questo momento per lunghi anni, osservando attentamente il bambino, può proporgli un programma su come arrivare a conoscersi, come vincersi, quali sforzi affrontare, come cercare la propria strada nella vita. Ritengo che molti bambini crescano nella repulsione per la virtù proprio perché gliela inculcano senza pausa, fanno indigestione di parole nobili.

Diritti del bambino

  • Diritto alla morte
  • Diritto alla sua vita presente
  • Diritto a essere quello che è
  • Diritto a esprimere ciò che pensa
  • Diritto a prendere attivamente parte alle considerazioni e alle sentenze che lo riguardano
  • Diritto al rispetto
  • Rispetto per la sua ignoranza
  • Rispetto per la sua laboriosa ricerca della conoscenza
  • Rispetto per le sue sconfitte e le sue lacrime
  • Rispetto per la sua proprietà
  • Rispetto per i colpi che gli riserva il duro lavoro della crescita
  • Rispetto per ogni suo minuto che passa, perché morirà e non tornerà più e un minuto ferito comincerà a sanguinare
  • Il bambino ha diritto di volere, di chiedere, di reclamare – ha il diritto di crescere e maturare e, giunto alla maturità, di dare i suoi frutti.

Quando parlo o gioco con un bambino, un istante della mia vita si unisce a un istante della sua e questi due istanti hanno la stessa maturità.

Carichiamo (l’infanzia) del fardello dei doveri dell’uomo di domani, senza riconoscerle alcuno dei diritti dell’uomo d’oggi.

Il bambino cresce, vive con intensità sempre maggiore, la sua respirazione si fa più rapida, il cuore batte più veloce; costruisce il suo essere, si sviluppa, si addentra più profondamente nella vita. Cresce giorno e notte: durante il sonno, mentre gioca, ride o piange e anche quando commette delle sciocchezze.

(…) e quando finalmente il domani è arrivato, noi aspettiamo ancora, giacchè l’opinione di fondo che il bambino non è ancora nulla, ma che sarà, che non sa ancora nulla, ma saprà, che non può ancora nulla, ma potrà, ci costringe ad una continua attesa. La metà dell’umanità non esiste nel pieno senso della parola; la sua vita non è che un gioco; le sue aspirazioni sono ingenue, i suoi sentimenti fugaci, le sue opinioni ridicole. I bambini sono diversi dagli adulti, manca qualcosa nella loro vita, eppure c’è qualcosa in più che nella nostra.

I bambini costituiscono una percentuale importante dell’umanità, delle sue genti, popoli e nazioni, in quanto abitanti, concittadini nostri, nostri compagni di sempre. Sono stati, sono, saranno. Una vita tanto per ridere non esiste. No, l’infanzia sono lunghi e importanti anni nella vita di un uomo.

Lasciamo che il bambino si abbeveri fiducioso nell’allegria del mattino (…)

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Opere di Korczak edite in italiano:

“Come amare il bambino” (1920)  1996  Luni
“Il diritto del bambino al rispetto” (1929)  2004  Luni
“Quando ridiventerò bambino” (1924)  1995  Luni
“Diario del ghetto”  1997  Luni

In lingua originale (polacco) sono reperibili 28 libri, alcuni dei quali tradotti in varie lingue (soprattutto tedesco, inglese, russo ed ebraico). Oltre ai saggi e ai romanzi Korczak ha scritto numerosi libri per bambini, soltanto in minima parte tradotti in italiano.


Incarnazione

Incarnazione

La psicanalista Monique Bydlowski, studiosa delle problematiche inconsce della gravidanza e del parto ed esperta di psicopatologia perinatale, sostiene che “qualunque gestazione realizza un’incarnazione ed è la conversione di un desiderio, di un progetto, in uno sviluppo biologico”.

A seguito delle ricerche psicanalitiche con oggetto donne sane alla prima esperienza di gestazione, emerge che nel contesto strettamente biologico del concepimento e della gravidanza si inseriscono elementi puramente psichici, quali i sogni, i desideri, le fantasie, i ricordi, le esperienze inconsce, che concorrono a dare corpo all’essere in formazione, dandogli senso e “interpretandolo come fa un musicista davanti allo spartito”.

In particolare i desideri più nascosti della madre, le esperienze vissute nel primo periodo della vita, ma anche le semplici fantasticherie (reverie), sono stati individuati come normali processi che si attivano al momento del concepimento e accompagnano tutta la gravidanza. Bydlowski sintetizza le conclusioni delle sue ricerche scrivendo: “l’eredità propone, il desiderio dispone, con tutta la sua complessità, le sue contraddizioni e la sua dimensione inconscia”.

La riflessione di questa ricercatrice prosegue oltre il campo puramente scientifico, osservando che, quanto recentemente osservato dalle scienze che studiano la psiche, era già stato in passato intuito da artisti e poeti, che pur senza riuscire a darne una interpretazione razionale chiaramente comprensibile, hanno dimostrato “il potere segreto di tradurre l’incoscio in libro aperto”.

Seguendo il filone di questa stimolante riflessione, ci sembra che anche le intuizioni che 2000 anni fa hanno guidato il racconto dell’Incarnazione nel Nuovo Testamento, possono trovare interessanti (e forse stupefacenti) spiegazioni e conferme dagli studi più attuali della psiche umana.

Nel Vangelo di Luca il concepimento di Maria è descritto attraverso l’annuncio della sua maternità da parte dell’Angelo Gabriele; è la Parola divina che diventa un essere vivente, che si incarna appunto in un bambino con precise caratteristiche biologiche. A Maria succede esattamente come ad ogni donna che concepisce un bambino, per la quale, più o meno inconsciamente, il bambino esiste ancor prima dell’inizio della sua vita.

In maniera meno esplicita, ma forse molto più profonda, troviamo la stessa intuizione nelle prime frasi del Vangelo di Giovanni: in principio era il Verbo (logos) … e il Verbo si fece carne. Il logos è appunto il pensiero, l’idea, la parola, che si fa carne. Ogni essere vivente è quindi pensiero che si incarna; la componente fisica e biologica segue e realizza la componente psichica che l’ha determinata e voluta.

Solo recentemente è stato possibile riconoscere e studiare la componente psichica del feto che si sviluppa nell’utero materno. Oggi è possibile riconoscere anche per la vita prenatale caratteristiche sensoriali ed emozionali ben definite, pur prive di consapevolezza e razionalità. Dalla lettura del vangelo di Luca, ritroviamo con molto anticipo queste recenti scoperte e leggiamo che al saluto di Maria la cugina Elisabetta avverte il sussulto del bambino che porta in grembo, ed è definito con molta precisione, un sussulto di gioia; l’udito fetale di colui che diverrà Giovanni Battista e le reazioni comportamentali provocate dal saluto, esprimo con molta chiarezza quanto oggi sappiamo della vita psichica prenatale.

Lo studio psicanalitico della gravidanza ha messo in grande risalto la grande sensibilità della madre indotta dalle modificazioni neuro-ormonali caratteristiche di questo periodo. In particolare per la madre di parla di trasparenza psichica (Bydlowski) durante la gravidanza e di periodo sensibile nel primo periodo dopo il parto (Winnicott, Stern, Cramer, Lebovici). A questa particolare condizione psichica, oggi considerata caratteristica di ogni gravida, non sembrano poter sfuggire neppure le due cugine, Maria ed Elisabetta, che stanno vivendo insieme l’esperienza di mettere al mondo un bambino. La nuova sensibilità emozionale di Elisabetta produce il saluto a Maria che tutti noi recitiamo nell’Ave Maria senza però la consapevolezza che tale invocazione è nata dall’intimo di una donna nel pieno della sua gravidanza.

Lo stato di trasparenza psichica di Maria sembra all’origine della lode del Magnificat. In questa formidabile e ispirata invocazione è facile individuare elementi di elevata sensibilità e poesia, accompagnati da immagini più concrete caratterizzate da forza e lucidità. Nel Magnificat Maria sembra rivolgersi a Dio e nel contempo anche al bambino che porta dentro di se, proprio come una giovane madre che sente la propria creatura come una parte di se dalla quale dovrà però riuscire (almeno in parte) a separarsi. Nel Magnificat Maria descrive il mondo nuovo voluto da Dio per gli uomini, ma canta anche il mondo che lei, come ogni madre, vuole per il suo bambino.

Nei primi capitoli del Vangelo di Luca non si parla soltanto di donne in gravidanza, ma è presente in maniera significativa e attiva anche un uomo: Zaccaria, l’anziano marito di Elisabetta. L’annuncio dell’Angelo Gabriele viene dato proprio a lui, quasi a significare che il concepimento, che nasce dall’idea di Dio, passa però anche da lui. Quest’uomo è parte attiva della gravidanza della moglie e anche per lui il figlio, Giovanni Battista, è prima di tutto un’idea, una parola che si incarna.

Per ogni padre il figlio nasce prima come idea che come individuo concreto, ogni padre vive un figlio immaginario in attesa del figlio reale che dovrà “adottare” quando potrà tenerlo finalmente tra le braccia. Come Zaccaria, ogni padre vive mentalmente, ancora prima che fisicamente, la gravidanza della moglie. Zaccaria, per volere divino, partecipa alla gravidanza di Elisabetta rimanendo per tutti i nove mesi muto, in un silenzio che lo rende più sensibile e chiuso in se stesso.

Secondo le ricerche degli ultimi decenni, dopo la nascita del figlio, anche i padri sufficientemente coinvolti, attraversano un periodo caratterizzato da maggiore empatia e sensibilità per la moglie e il figlio. Per Zaccaria questo momento di maggiore ricchezza emotiva trova espressione nel famoso Benedetto che pronuncia dopo la nascita del figlio, appena gli si scioglie la parola. Come per il Magnificat, anche questa preghiera sembra ispirata dalla situazione speciale indotta dall’aver fatto nascere. E’ anche questa una preghiera di alta poesia e sensibilità, ma che presenta riferimenti concreti alla realtà e alla storia; Zaccaria, da bravo padre, presenta il mondo a suo figlio e presenta suo figlio al mondo annunciandone la missione futura.

Maria, Elisabetta e Zaccaria possono ben rappresentare la complessità e la ricchezza psichica presente in ogni donna e in ogni uomo che progettano di mettere al mondo un bambino. J-P Sartre in una sua opera teatrale scrisse che “fare un figlio è approvare la creazione”. Anche questo pensatore (ateo nelle sue manifestazioni razionali) sembra dimostrare che nel campo della poesia e dell’arte sono possibili ispirazioni e intuizioni che rendono l’inconscio per un attimo manifesto e leggibile.

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Bibliografia :

BYDLOWSKI M. “Sognare un figlio” Pendragon 2004 
STERN D. “Nascita di una madre” Mondadori 1999
HRDY S. B. “Istinto materno” Sperling e Kupfer 2001 
SARTRE J.P. “Bariona o il figlio del tuono” Christian Marinotti 2003 
WINNICOTT D. “I bambini e le loro madri“ Raffaello Cortina 1987 
KLAUS M. e KENNELL J.H. “Dove comincia l’amore” Bollati Boringhieri 1998
CRAMER B. “Professione Bebè” Bollati Boringhieri 1992

 


La Mammmma

La Mammmma

Tra una mamma e una mammmma non ci sono soltanto due emme.La mamma potrebbe presentarsi da sé e potrebbe spiegarci la gioia e la fatica di essere madre.

La mammmma invece non può essere spiegata a parole perché chi la chiama così non sa ancora usare le parole. La mammmma è la mamma vista dal suo bambino ed è diversa da come la vediamo noi.

La mammmma è :

di chi immagina prima di vedere,
di chi ha emozioni prima di capire,
di chi vuole amore prima di qualunque altra cosa.

Chi dice mammmma non è interessato alla madre di ieri, né può immaginare come sarà la madre di domani,
chi chiama mammmma sta cercando la madre di adesso, quella che gli serve per vivere ora.

La mammmma è colei che mi rende completo, che annulla la mia paura e, nel contempo, colma la mia gioia di vivere. Senza la mammmma non potrei percepire di esserci, senza di lei non sarei; quando la perdo mi perdo e quando la trovo ritrovo me stesso.

Quando dico mammmma non ho bisogno di capire nulla, perché nella mammmma finisce tutto; anche il mio spazio, che ha cominciato dentro la mammmma, inizia da me e finisce da lei. Quando dico mammmma non so cosa dico, ma comincio a capire che posso capire, mentre capisco la mammmma inizio a capire chi sono.

A volte lei dice che io sono il suo bambino. Non è vero ! E’ lei che è la mia mammmma.


Usato non garantito

Usato non garantito

L’Assogiocattoli assieme al Ministero delle Attività Produttive ha stampato un pieghevole per genitori con bambini piccoli nel quale si spiega che carrozzine, passeggini, lettini, seggioloni, fasciatoi e box una volta usati non offrono più “sicurezza, confort e igiene”.

Il pieghevole conclude “Non sempre l’usato offre le garanzie di cui tuo figlio ha bisogno. Scegliere un prodotto nuovo significa eliminare ogni dubbio. Pensaci”

Io ci ho pensato e ho concluso che forse questo approccio al problema è un po’ terroristico per genitori sensibili e apprensivi che cercano di fare il meglio per il loro bambino.

Ho inoltre pensato che questo approccio è molto poco economico per le famiglie e invece molto produttivo per i venditori di attrezzature per l’infanzia.

Ho anche pensato che questi materiali vengono utilizzati per pochi mesi usurandosi molto poco; generalmente occorrono molti figli o molti cugini per arrivare a consumarli fino a danneggiarli.

Ho poi pensato che se alcune parti dei passeggini e dei seggioloni sono soggetti ad usura (ad esempio le ruote o i freni) basterebbe sostituire queste parti con pezzi di ricambio senza dover ricomprare l’oggetto integralmente.

Ho pensato che se ogni volta che nasce un bambino fosse veramente necessario comprare sempre attrezzatura nuova, il Governo, anziché sostenere l’Assogiocattoli, dovrebbe togliere l’IVA da questi prodotti oppure fornire alle famiglie incentivi per la sostituzione dei passeggini usati, come fa per le auto e i frigoriferi che inquinano. Probabilmente la carrozzina o il seggiolino per l’auto dovrebbero avere la priorità rispetto al decoder per il digitale terrestre.

Secondo il pieghevole la sicurezza per questi prodotti viene minata anche per la probabile perdita, dopo qualche anno, del libretto di istruzioni. Ma ho pensato che forse per aprire un seggiolone o un passeggino le istruzioni non sono da considerare importanti come quelle di un elettrodomestico o di una stufa a gas.

La sicurezza sarebbe compromessa anche da “eventuali danni, magari non visibili, che hanno compromesso la sicurezza e l’affidabilità delle componenti strutturali e/o meccaniche”. Ho pensato che forse il fasciatoio non è un aeroplano e ho pensato che questi misteriosi danni invisibili non si realizzano quando il fasciatoio è in solaio chiuso nel suo telo di plastica, bensì durante l’uso, e quindi anche con il primo figlio; se questi oggetti sono cosi poco sicuri forse non dovrebbero neppure produrli o almeno non dovrebbero essere così costosi.

Nel capitoletto dal titolo ‘confort’ è scritto che “negli articoli destinati alla prima infanzia confort non significa semplicemente comodità, ma anche salute, benessere, garanzia di uno sviluppo corretto: caratteristiche che solo un prodotto nuovo offre con certezza”. A questo punto della lettura mi stavo un po’ arrabbiando, ma ho mantenuto la calma e ho potuto continuare a pensare. Ho pensato che le scarpe nuove fanno più male di quelle vecchie e che niente è più comodo di un vecchio paio di jeans. Ho pensato che forse per un bambino di cinque mesi il suo benessere, la sua salute  e il suo corretto sviluppo, non dipendono da cosa comprano i suoi genitori, né da cosa l’industria è capace di produrre.

L’ultimo punto riguarda l’igiene. L’usato sarebbe sporco, pieno di polveri e di muffe. Ho pensato che forse dipende da come viene conservato e da come viene lavato prima dell’uso. Siccome sono un pediatra mi è venuto in mente che anche nei casi di infestazioni da pidocchi o da scabbia è sufficiente tenere gli oggetti chiusi per dieci giorni in un sacco di plastica per uccidere completamente anche  i parassiti più antipatici.

Ho anche pensato che, pur disponendo di molto denaro, forse non è molto etico gettare i passeggini dopo averli usati soltanto per pochi mesi e ricomprare tutto nuovo. Ho pensato che soltanto nel caso dei seggiolini per auto e per bici può essere opportuno procurarsi materiale recente costruito seguendo le attuali normative di sicurezza.

Dopo l’uso con i miei tre figli ho regalato tutto alla casa di accoglienza per madri in difficoltà con la certezza che altri bambini si sarebbero divertiti a saltare sul passeggino dei miei figli o a sputare mela grattugiata sul seggiolone (che avevo già provveduto a riverniciare tra il secondo e il terzo figlio).

Ho infine pensato che forse il pieghevole dell’Assogiocattoli e del Ministero delle Attività Produttive avrebbe fatto meglio a non invitare a pensare…