Nascere nella sussidiarietà

Nascere nella sussidiarietà

Almeno in parte, la salute di un popolo dipende dal modo in cui le azioni politiche condizionano l’ambiente e creano quelle circostanze che favoriscono in tutti, e specialmente nei più deboli, la fiducia in se stessi, l’autonomia e la dignità. Di conseguenza, la salute tocca i suoi livelli ottimali là dove l’ambiente genera capacità personale di far fronte alla vita in modo autonomo e responsabile.
Ivan Illich, 1976

Durante lo svolgersi del percorso nascita – dal concepimento al primo anno di vita del bambino – l’individuo e le istituzioni entrano in rapporto tra loro in una relazione progressiva e dinamica. Da una parte abbiamo una madre, un padre e un nascituro, dall’altra un discreto numero di operatori sanitari inseriti nelle diverse organizzazioni preposte all’assistenza (ma in questo ambito istituzionale dobbiamo includere anche le conoscenze scientifiche che, tradotte in protocolli operativi, indirizzano le prassi assistenziali).

Quando l’istituzione prende il sopravvento sull’individuo, la donna in attesa e la sua famiglia si trovano ad assumere un ruolo di passività e di dipendenza. Già all’inizio, la stessa diagnosi di gravidanza può essere svincolata dalle profonde percezioni della donna e gli stessi cambiamenti fisici e mentali possono passare in secondo piano rispetto agli esami strumentali e al giudizio del professionista. L’ultima parola è spesso delle macchine, in particolare dell’ecografia; così le artificiose immagini in bianco e nero del nostro bambino ‘tagliato a fette’ acquistano maggiore importanza della pancia che cresce o dei piedini che scalciano.

In molti casi il sapere della donna – il più delle volte inconscio e intuitivo perché ancestrale e profondo – viene inibito dal giudizio dello specialista; nella migliore delle ipotesi le competenze individuali attendono la conferma del giudizio scientifico (con il rischio di vedere spesso confermate verità di palese ovvietà).

Nel momento del parto il conflitto tra l’individuo e l’istituzione rischia di diventare ancora più evidente: quando l’esperto prende decisioni e interviene, l’individuo il più delle volte può soltanto fidarsi ed affidarsi. In molti casi libertà di scelta, autonomia e indipendenza appaiono completamente annullate e inibite. Ad esempio, considerando soltanto la modalità del parto, il semplice criterio di sicurezza riesce a giustificare soltanto un terzo delle nascite tramite taglio cesareo (sul totale di quanto in realtà avviene nei paesi industrializzati), e spesso i diretti interessati non riescono neppure a comprendere appieno la decisione presa dal clinico.

Lo stesso neonato quando viene alla luce è spesso oggetto passivo in balia di mani che, pur esperte e competenti, non sempre tengono conto delle sue esigenze profonde e delle sue competenze innate.

Il neonato della nostra specie è il prodotto di centomila anni di evoluzione, le sue competenze per nascere, respirare, riscaldarsi e nutrirsi sono il frutto di una lunga selezione e sono quanto di meglio la natura sia riuscita ad inventarsi (e l’efficacia di questo processo è indicata dalla nostra diffusione sull’intero pianeta). Anche l’intero processo dell’allattamento è fondato su innate ed efficaci capacità di madre e bambino; ciononostante nei decenni passati l’istituzione è riuscita a inventarsi orari e quantità definite per alimentare i neonati, inibendo così ogni autonoma competenza. Lo stesso potremmo dire delle prassi per l’introduzione degli alimenti complementari all’allattamento (il cosiddetto svezzamento).

Anche nei controlli periodici cui sottoponiamo il neonato si corre il rischio di inibire ogni autonoma e individuale competenza: alla fine i due neogenitori possono soltanto attendere il responso dello specialista pediatra per convincersi che il loro bambino è sano e sta bene.

I numerosi interventi preventivi messi in atto negli ultimi decenni (primo fra tutti le vaccinazioni), in generale utili e opportuni, rischiano di produrre nei genitori la percezione che il bambino è a grande rischio di malattia se non viene sottoposto a tutto quanto la scienza moderna è in grado di offrire.

Una chiave di lettura per tentare di rendere più equilibrato il rapporto tra l’individuo e le istituzioni può arrivare dall’applicazione del principio di sussidiarietà all’evento nascita e all’esperienza genitoriale.

Questo principio è ben noto a chi si occupa di politica: ‘non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli’. Significa che l’individuo è principio, soggetto e fine della società e gli ordinamenti statali devono essere al suo servizio. Nel 1992 l’Unione Europea ha dichiarato che il principio di sussidiarietà rappresenta la direttrice fondamentale che deve guidare gli stati membri.

Non tutti sanno che il principio di sussidiarietà rappresenta anche uno dei fondamenti della dottrina sociale della Chiesa e un’enciclica di Pio XI del 1931 definisce con molta chiarezza questo principio. Nel documento ecclesiale troviamo ben espresse anche le motivazioni di fondo del concetto di sussidiarietà: “l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium afferre) le membra del corpo sociale, non già di distruggerle e assorbirle”.

In pratica l’intervento di aiuto deve realizzarsi soltanto nel caso in cui l’individuo si trovi impossibilitato ad agire autonomamente; questo intervento dovrà essere transitorio e contenuto, con lo scopo di riportare l’individuo alla sua indipendenza originaria. Dall’applicazione di questo principio derivano cittadini liberi e responsabili, indipendenti e autonomi.

In questo modo è possibile evitare che le persone vivano in un rapporto di passività con le istituzioni, permettendo loro di esercitare una forma di controllo e di cooperazione con gli organismi pubblici che incidono sulla realtà sociale.

Alle istituzioni pubbliche rimangono comunque alcune funzioni superiori inderogabili – come il controllo, l’equità, il coordinamento e la sicurezza – che però non devono alienare i livelli inferiori (individuali e collettivi), che troveranno invece nell’azione degli organismi superiori un’occasione di promozione della propria identità.

Un’organizzazione sanitaria che con i suoi diversi professionisti riesca ad applicare con attenzione questo criterio, si troverà a rapportarsi con genitori e neonati protagonisti della loro esperienza esistenziale, in grado di gestire con un certo grado di autonomia le modifiche fisiche, psicologiche, emotive e sociali connesse con l’evento nascita. Un’organizzazione di questo tipo non potrà che partire da quanto gli individui già conoscono, preoccupandosi eventualmente di incrementare il loro sapere e la loro consapevolezza, evitando di interferire sulle scelte e le varie opzioni (dagli esami prenatali alle profilassi successive alla nascita), limitandosi ad una disponibilità concreta per sostenere ed aiutare (subsidium) qualora questo venga richiesto.

Il vero intervento sanitario verrebbe così a realizzarsi soltanto in caso di effettiva complicazione, cioè nelle situazioni di conclamata e definita patologia, dove l’autonomia e la libertà del singolo non sono in grado di trovare soluzioni efficaci. Questo intervento specialistico e tecnologico avrà forti connotazioni di transitorietà e terminerà appena le competenze e le risorse del singolo mostreranno di controllare autonomamente il processo. L’intervento ‘dall’alto’ dovrà realizzarsi senza inibire completamente l’iniziativa e la partecipazione dell’individuo che dovrà mantenere un parziale controllo della situazione attraverso la possibilità di una scelta consapevole e informata o quanto meno l’opportunità di esprime la propria volontà e opinione.

Questo approccio assistenziale è in grado di attivare un circolo virtuoso, favorendo la produzione di protocolli centrati sull’individuo e applicati dagli operatori in maniera personalizzata. Anche nelle condizioni cosiddette fisiologiche l’ostetrica potrà modulare la propria azione attuando un subsidium tarato sulle competenze già presenti nel sistema relazionale che, oltre alla madre, al bambino e al padre, comprende il suo stesso sapere (saper fare); si eviteranno così quegli schemi assistenziali rigidi e generici capaci di condizionare negativamente anche le nascite e le gravidanze a basso rischio.

L’applicazione del principio di sussidiarietà all’assistenza ostetrica e pediatrica può inoltre favorire e promuovere il rispetto delle diversità etniche e culturali, evitando procedure intrusive basate su schemi che difficilmente possono essere compresi e accolti in maniera universale. Lo stesso svezzamento dei bambini che appartengono a gruppi etnici diversi dal nostro richiederebbe maggiore rispetto della cultura alimentare del gruppo di appartenenza, riservando soltanto ai casi con allergia o patologia prescrizioni specifiche.

In ambito sanitario il rispetto del principio di sussidiarietà permette di mantenere a livelli minimi il rischio iatrogeno (cioè di danno provocato dall’intervento sanitario); è possibile così incrementare l’appropriatezza delle procedure evitando tanto l’over use che l’under use delle risorse sanitarie (con probabile beneficio anche dell’aspetto economico).

Il coinvolgimento diretto e attivo dell’individuo, favorito anche da un’adeguata capacità di comunicazione del personale sanitario, può inoltre contenere i conflitti e i contenziosi medico-legali che in questi ultimi anni stanno condizionando negativamente la relazione tra il medico e il paziente.

Come avviene nell’ambito politico e sociale, anche in sanità, il principio di sussidiarietà può venire declinato nelle sue versioni cosiddette verticali e orizzontali. Nel primo caso il professionista sanitario e l’organizzazione si preoccuperanno di mantenere un atteggiamento rispettoso e non intrusivo della libertà individuale, nel secondo caso invece l’individuo potrà trovare sostegno e aiuto da altri individui o associazioni attraverso quelle relazioni peer-to-peer che in molte situazioni si sono dimostrate molto efficaci (pensiamo soltanto ai gruppi di aiuto-aiuto per l’allattamento).

Anche all’interno dell’evento nascita quindi l’applicazione attenta e consapevole del principio di sussidiarietà può produrre effetti virtuosi rispettosi della libertà e dell’autodeterminazione dell’individuo. Questo percorso di cambiamento è però sostanzialmente di natura culturale e per essere attuato in maniera efficace è necessario attivare un vero e proprio percorso educativo (e non semplicemente formativo), in grado di coinvolgere sia gli operatori che i genitori.

Il presente articolo è stato pubblicato sulla rivista per ostetriche ‘Donna & Donna’, n.62, settembre 2008