L’ esperienza della maternità di Nadia Bruschweiler e Daniel Stern
Molto prima di essere incinta la donna comincia a costruirsi un’immagine, una rappresentazione del bambino e della famiglia che avrà un giorno. A seconda delle sua personalità, del suo modo di essere e della sua esperienza di vita queste rappresentazioni saranno più o meno vaghe o precise. Il processo psichico di preparazione alla maternità comincia, con gradazioni diverse e variabili, già dall’infanzia con i giochi (alla mamma e al papà, alle bambole…), con i transfert materni che si verificano all’interno della famiglia o nella cerchia di amici e conoscenti, con i libri e naturalmente, al giorno d’oggi, con la televisione.
Prendiamo per esempio una bimba che gioca al papà e alla mamma: il “tipo” di papà con cui vuole giocare è ben definito nella sua testa e di solito è quello che ricrea lo scenario che le è più famigliare e lo stesso vale per i maschi.
Il percorso del bebè immaginario comincia dunque nell’infanzia, si sviluppa secondo determinate fasi fino all’età adulta e diventa attivo durante la gravidanza.
In effetti la madre, parallelamente a ciò che avviene fisicamente nell’utero, vive una sorta di “gestazione mentale”: un lavoro psichico tramite il quale prepara la profonda trasformazione della propria identità che influirà sulla sua vita di coppia, sui rapporti con la famiglia di origine, sulla vita professionale e sociale e sul senso che lei stessa ha di sé. In questa fase la donna elabora la propria immagine del futuro bebè, di se stessa come futura madre, del proprio compagno come futuro padre e del trio che diventerà la sua nuova famiglia.
Cerca di immaginare il ruolo che il futuro bambino avrà all’interno della nuova famiglia e delle rispettive famiglie d’origine. Questo lavoro mentale assai complesso, che potremmo chiamare “genesi della personalità”, può essere considerato la controparte dell’organogenesi che invece rappresenta il lavoro fisico intrapreso dalla donna durante la gravidanza: si potrebbe dunque parlare di due gravidanze, una fisica e l’altra psichica, che evolvono parallelamente e si influenzano vicendevolmente fino al momento della nascita.
Possiamo dire, molto schematicamente, che l’immaginazione della madre oscilla tra due grandi gruppi di rappresentazioni mentali. Da una parte troviamo il bebè “desiderato”, un bimbo o una bimba, con tutte le caratteristiche che potete immaginare: bello, forte, sportivo, affascinante, allegro, vivace, intelligente, dolce, simpatico, …, un bambino che riesce in ciò che la madre avrebbe voluto fare, che ottiene la vita che lei avrebbe voluto avere. Tutto ciò dipende naturalmente dalle esperienze personali della madre e dalla sua immaginazione.
Dall’altra parte, invece, troviamo il bebè “temuto” in cui sono racchiusi alcuni schemi classici, ma anche tutta una serie di elementi personali: pensiamo per esempio alla paura di avere un bambino Down, malformato, debole o semplicemente brutto, un bambino che diventerà violento o alcolizzato come uno dei membri della famiglia o uno dei conoscenti o ancora come una persona che, per qualche ragione, ha influenzato l’esistenza della madre. Naturalmente tutte queste paure non sono presenti nello stesso tempo e con la stessa intensità nella testa di ogni madre: ce ne saranno una o due che saranno predominanti e le altre potranno fare capolino in seguito a determinate associazioni mentali, a incontri particolari, a libri letti, a film visti, a discorsi ascoltati, ecc.
Contemporaneamente alla rappresentazione del proprio bambino, la madre procede nello stesso modo all’analisi del proprio ruolo di madre e si domanda che madre sarà. Per fare ciò pensa alla propria madre, cerca esempi di madri che ammira a cui ispirarsi e altri a cui invece non vuole assolutamente assomigliare. Lo stesso tipo di lavoro mentale riguarda inoltre il padre del bambino, le due famiglie d’origine e tutte le cose della vita che cambieranno con l’arrivo del bambino.
La nascita, proprio perché è un momento di sostanziale disequilibrio nel sistema materno, è dunque un momento propizio per qualsiasi tipo di intervento. E’ proprio in questo momento infatti che il bambino immaginario incontra il bambino reale.
Alla nascita la preoccupazione della sopravvivenza del bambino emerge con forza e passa in primo piano. Appena il bimbo è venuto al mondo, il primo gesto della madre sarà quello di assicurarsi che sia vivo: ha bisogno di appropriarsene a livello animale, di sentire il peso del suo corpicino, di toccare la sua pelle, di controllare il suo tono muscolare, di sentire che sia ben caldo e reattivo, di vedere che sia vivo. Il momento in cui il bebè viene deposto sul ventre o sul petto della madre subito dopo il parto segna questa tappa fondamentale: le madri che non hanno potuto vivere questo momento ne risentono spesso una profonda frustrazione che dura a lungo.
Una volta rassicurata su questo punto, la madre può finalmente dedicarsi all’incontro con questo nuovo membro della famiglia. In questa fase tenta di appropriarsene da un punto di vista umano ricercando, per esempio, le somiglianze fisiche (ha la fronte e gli occhi di suo padre, ma la mia bocca!) o comportamentali (quando ha fame bisogna precipitarsi: esigente come suo padre! oppure: dorme molto, nella famiglia siamo tutti dei gran dormiglioni!). Attraverso queste fasi, la madre si avvicina al bambino appena nato, al proprio bambino, cerca di conoscerlo, si lega a lui. Ma nel momento in cui lo incontra, come persona, la madre si vede costretta ad adattare, almeno in parte, le rappresentazioni prenatali al bambino reale che ha messo al mondo e che ora si trova di fronte a lei.
La madre ha appena scoperto un bimbo o una bimba, il suo peso, la sua lunghezza, il colore dei capelli, comincia ad abituarsi ai tratti del suo viso, alle caratteristiche fisiche, comincia a conoscere i suoi ritmi, a scoprire i tratti del suo carattere e il suo comportamento. E’ a questo punto che si produce nella madre una sorta di integrazione tra i tratti del carattere del bebè che sta scoprendo e l’immagine mentale più o meno cangiante che si era costruita prima di quest’incontro. Ed è a questo punto che diventa fondamentale il ruolo interpretato dalle persone che si trovano attorno alla madre, che siano i membri della famiglia o il personale medico.
Sin dalla nascita del bambino, infatti, la madre è psicologicamente aperta: ha bisogno di scoprire chi è questo bambino misterioso che per tutto questo tempo si è formato dentro di lei, è alla ricerca di qualunque indizio che le permetta di orientarsi in questa situazione completamente nuova e ciò che viene detto durante i primi giorni dopo il parto si fisserà in maniera più o meno indelebile nella sua mente. Questo primo periodo può influire profondamente sulla relazione che avrà con il bambino e rinforzare una rappresentazione preesistente, sia positiva che negativa.
Quando la donna diventa madre si verificano alcuni cambiamenti psichici molto interessanti che la introducono in una realtà estremamente diversa:
- L’ interesse della madre si concentra sulle altri madri a discapito degli uomini;
- La neo-madre si interessa al modo in cui la propria madre (e non il padre) ha vissuto l’esperienza della maternità e della nascita;
- Ciò che le interessa è la propria madre, non tanto come moglie del padre, quanto piuttosto come madre quando era giovane;
- Il compagno viene osservato e considerato come padre e non più come uomo e ancora meno come partner: le due pulsioni della sessualità (il sesso e l’aggressione) non scompaiono completamente, ma l’interesse per il sesso si affievolisce progressivamente mentre la cooperazione nella coppia assume un’importanza sempre maggiore;
- La triade magica (madre-padre-bambino), che rappresentava un elemento tanto importante per la madre durante la gravidanza, viene progressivamente sostituita da un’altra triade (madre-madre della madre-bambino) che riveste un significato psichico ancora più importante per il percorso psichico che la madre deve affrontare. Si tratta di una costellazione triadica completamente diversa che comincia già durante la gravidanza. Vorrei far notare che quando parlo della “madre della madre” non intendo esclusivamente la madre biologica, ma qualsiasi figura materna che si trova vicino alla neo-mamma (la nonna, una zia…)
- La madre ha una concezione particolare del tempo che è diversa da quella che aveva prima ed elabora un “calendario” completamente personalizzato: il calendario che usiamo di solito si basa su un evento capitale (la nascita di Cristo) mentre la madre ne crea un altro basato su un altro evento capitale (la nascita del primo figlio) che essa integra al primo. Provate a chiedere ad una mamma, per esempio, quando è andata a trovare l’ultima volta suo fratello. Vi risponderà qualche cosa del genere: “E’ stato quando Gianni ha cominciato a camminare, cioè quando aveva un anno. Oggi ne ha quattro, dunque è stato nel … 1997” !
La “costellazione materna” non può essere considerata come una variante di un’organizzazione psichica della donna: pur avendo con questa molte relazioni non ne costituisce infatti né una variante né un completamento, ma è qualcosa di unico, di indipendente e di fondamentale.
Passiamo ora ad analizzare quali sono i compiti e il lavoro che rendono “madre” una donna. Il primo compito della madre appena arrivata a casa consiste nell’assicurare la sopravvivenza del bambino. Si tratta di un momento straordinario e del tutto particolare che mostra come la madre debba ormai essere considerata un qualcosa di diverso rispetto alla donna che era prima. La madre ha paura che il bambino muoia: la prima notte andrà a controllare che respiri, osserverà ogni piccolo movimento del corpicino, farà attenzione ad ogni piccolo rumore…
Sa benissimo che si tratta di una reazione completamente irrazionale, ma non riesce a farne a meno: nessuno potrà dissuaderla dall’alzarsi e andare a controllare svariate volte nella notte (neppure il marito) e se qualcuno cercherà di impedirglielo, lei si farà prendere da una vera e propria crisi di ansia che non passerà finché non avrà controllato che vada tutto bene.
Dopo qualche giorno l’angoscia iniziale si placa, ma la paura resta più o meno manifesta: ogni volta che farà il bagno al bambino avrà paura che scivoli e batta la testa; ogni volta che lo cambierà, avrà paura che il bambino cada dal fasciatoio mentre lei si volta per rispondere al telefono; ogni volta che lo metterà a letto avrà paura che venga soffocato dal cuscino o che il padre lo schiacci…
La madre entra dunque in un mondo fatto di allarmi continui, di paure e di uno stato di vigilanza costante: assicurare la sopravvivenza del bambino e badare a tutti i suoi bisogni costituisce l’unica preoccupazione della madre che agisce come se la pulsione della sopravvivenza avesse cancellato tutte le altre. Non c’è nulla di più importante, non le interessa nient’altro.
A questo punto vi domando: in quale delle varie teorie psicologiche che conosciamo è presente la paura o la pulsione per la sopravvivenza di qualcun altro? Nessuna: la castrazione, l’isolamento, la frammentazione… nessuna può spiegare questo fenomeno, si tratta di un elemento unico e fondamentale che caratterizza la nuova fase della vita di una donna che diventa madre.
In questo primo periodo la madre si pone una domanda fondamentale: “sono un animale competente? Posso assicurare la continuazione della generazione futura come fanno tutti gli altri animali?” Con questa domanda la nuova madre mette in dubbio le proprie capacità di essere madre.
In psichiatria le paure della madre vengono considerate come fattori di un comportamento ambivalente nei confronti del bambino: si ha infatti tendenza a dire che tutte le madri hanno paura poiché quando si ama c’è sempre una certa ambivalenza. Tale ragionamento mi sembra però assai controproducente poiché in realtà le paure della madre sono positive e necessarie in quanto costituiscono un indizio estremamente importante di un tipo di attaccamento corretto.
Durante questa prima fase la madre è soggetta al fenomeno del cosiddetto “overkill”, una strategia che la natura attua in casi di estrema necessità, come per esempio la sopravvivenza del neonato: la madre non dorme abbastanza, vive in uno stato di allerta perenne e tutte le sue energie sono concentrate in questo compito primordiale.
Il secondo compito che rende madre una donna e che fa parte della costellazione materna è rappresentato dall’amore che la madre vuole dare al proprio bambino. Non sembrerebbe, ma si tratta di un compito complicato in quanto il fatto di amare un bambino implica diverse cose: pensiamo di avere tutti la capacità di amare, che il bambino può accettare di essere amato da noi, ma (è questa la cosa più importante) sappiamo come amare qualcuno? Questo bebè, questa persona, diventerà il nostro bambino ed è proprio l’amore e la specificità del nostro amore che faranno di questo bambino il nostro bambino.
E per tutto ciò è necessario avere una grande fiducia nella propria generosità, nella capacità di amare e nel fatto che qualcun altro possa accettare questo amore. In questa seconda fase la madre si pone un’altra domanda: non si chiede più se è un animale competente, ma se è un essere umano competente. “Sono in grado di amare nel modo giusto?”. Dopo aver realizzato che è riuscita a portare a termine il primo compito e che il bambino è ancora vivo, che prende peso e che sta bene e dopo aver realizzato che può amare questo bambino e che questi può rispondere al suo amore, solo a questo punto, col compimento di questi due compiti, la madre comincia veramente a diventare madre: prima era semplicemente una donna che aveva un bambino.
Il terzo compito è estremamente importante: per quanto possibile, le madri devono riuscire a circondarsi di un gruppo di donne esperte che formino una rete di contatto in grado di sostenerle, incoraggiarle e riconoscerle nel loro ruolo di madri. Si tratta di un fenomeno sempre meno comune nella nostra società, ma estremamente affascinante.
Ogni madre cerca una figura cui fare riferimento che le permette di diventare a sua volta una buona madre. Questa persona (che può essere un membro della famiglia, un elemento della cerchia di amicizie e conoscenze o un prodotto della fantasia) è fondamentale per la madre in quanto la sua presenza le permette di interpretare il proprio ruolo di madre. A questo proposito vorrei raccontarvi la storia di una donna che ho intervistato cinque giorni dopo il parto.
Alla mia domanda di chi, durante questi primi cinque giorni di vita del bambino, era stata la persona che l’aveva riconosciuta in quanto neo-madre convalidandone il ruolo, la donna ha risposto dicendo che forse poteva sembrare strano, ma che era stata la donna delle pulizie dell’ospedale. Ogni mattina, alle 7, arrivava nella sua stanza una signora di circa 55 anni che veniva a pulire, rifare i letti… Questa donna aveva dei nipotini e ogni giorno si fermava qualche minuto a chiacchierare con la neo-mamma, le dava consigli, le chiedeva notizie del bambino, le chiedeva se il latte era arrivato… Questi cinque minuti di conversazione intima ed esclusiva su ciò che rappresenta il lavoro di madre costituivano per la mia intervistata il momento più importante della giornata.
Questa donna, con le sue parole, riconosceva, avvalorandola, la sua esistenza in quanto neo-madre e la incoraggiava: era la persona che più desiderava vedere. Naturalmente i pediatri, le infermiere, gli psicologi erano molto importanti, ma le sembravano indispensabili solo se si fosse presentato un problema specifico. Anche il marito era fondamentale in quanto rappresentava il legame con il mondo esterno durante la sua assenza temporanea, ma quella donna era per lei la persona più importante.
Storie come questa sono assai comuni. Nelle società dette primitive, tribali, la neo-mamma non viene mai lasciata sola. Ancora oggi, in India, per esempio, la donna che deve partorire si reca dalla madre e dopo il parto è la neo-nonna che si occupa del neonato al posto della figlia: questa è circondata da altre madri che la sostengono e l’aiutano a riconoscersi nella sua nuova identità di madre.
Soltanto quando la madre porta a termine i tre compiti di cui abbiamo parlato (assicurare la sopravvivenza del bambino, trovare una maniera autentica di amarlo e circondarsi di donne più esperte di lei), potrà considerarsi veramente una madre.
A questo punto la neo-madre possiede un vero e proprio “paesaggio mentale” materno, la “costellazione materna” è definitivamente attivata. Per quanto tempo?
Difficile saperlo: dipende dal carattere della madre. Ci sono madri la cui costellazione materna dura 3-6 mesi, altre che la mantengono per qualche anno e altre ancora per le quali dura tutta la vita …In ogni caso la “costellazione materna” non scompare mai definitivamente: non viene assorbita dall’organizzazione psichica della madre, ma è semplicemente disattivata ed è sempre pronta a riattivarsi non appena la madre abbia l’impressione che il bambino ha bisogno di aiuto. Questo fenomeno può capitare in un qualsiasi momento. Il bambino può avere 10 mesi, 10 anni o 50 anni: quando si ammala o ha grossi problemi (un divorzio, un lutto…), la madre ritorna ad essere madre e la “costellazione materna” si riattiva immediatamente.
Da un intervento tenuto al Convegno ACP di Torino il 25 marzo 2000
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